Il museo del Louvre aprì ufficialmente nel 1793, scopriamo insieme curiosità e le 10 opere più prestigiose di questo fantastico museo! Ma prima, facciamo un balzo indietro nel tempo, sino alle sue origini.
- la storia del Louvre
- la piramide del Louvre
- la Gioconda
- La Venere di Milo
- La libertà che guida il Popolo
- Amore e Psiche
- le Nozze di Cana
- la Nike di Samotracia
- la Zattera della Medusa
- il Codice di Hammurabi
- l’Incoronazione di Napoleone
La storia del Louvre
Nel Medioevo l’intero complesso era una roccaforte militare che nel corso dei secoli fu trasformata in palazzo rinascimentale diventando la residenza Reale. In seguito, venne deciso che la struttura sarebbe diventata la casa del più grande e prestigioso museo di tutto il mondo. Una curiosità: durante la Seconda Guerra Mondiale il Louvre fu adibito a magazzino dove i nazisti trasferivano le opere rubate ad artisti e collezionisti ebrei. Nelle sale sequestrate del museo i tedeschi selezionarono opere per il Reich da portare in Germania e ne bruciarono tantissime altre. Il museo ospita più di 35.000 opere, ma se avete poco tempo per visitarlo ecco le 10 assolutamente imperdibili!
La Piramide del Louvre
La prima opera degna di nota è lo stesso ingresso al museo: la Piramide del Louvre che rappresenta il cuore della ville lumiere. Il motivo per cui fu scelta questa forma geometrica rimane un mistero. Alcuni credono che ci sia l’influenza della massoneria o un legame con il mondo egizio. La teoria più in voga è che, semplicemente, la piramide fosse la figura geometrica preferita dal suo architetto Pei, il quale la inaugurò nel 1988 sotto commissione del presidente François Mitterrand. A lungo polemizzata, la Piramide è ad oggi una delle opere più apprezzate del museo.
La Gioconda
Non fatevi ingannare dalla popolarità del ritratto: molti rimangono delusi davanti alle ridotte dimensioni di quest’opera (77×53 cm). Realizzata nel 1504 dall’indiscusso artista Leonardo da Vinci, la Monna Lisa non è un’opera che affascina per la sua bellezza o magnificenza, bensì per i numerosi enigmi che dietro essa si celano.
Alcune curiosità
- nel 1956, la parte inferiore del dipinto venne seriamente danneggiata a seguito di un attacco con dell’acido e diversi mesi dopo qualcuno lanciò un sasso contro il dipinto. Sull’episodio fornì una lettura psicoanalitica Salvador Dalì: «Molte persone se la sono presa con la Gioconda, anche lapidandola come qualche anno fa, caso tipico di flagrante aggressione contro la propria madre. Leonardo, inconsciamente, ha dipinto un essere che riveste tutti gli attributi materni. Ha due grandi seni e posa su chi la contempla uno sguardo totalmente materno. Però sorride in modo equivoco. Ora cosa succede al povero infelice che è posseduto dal complesso di Edipo? Egli entra in un museo. Un museo è una casa pubblica. Nel suo subcosciente, è un bordello. E in questo bordello vede il prototipo dell’immagine di tutte le madri. La presenza angosciante di sua madre che gli lancia uno sguardo dolce e gli rivolge un sorriso equivoco, lo spinge a un atto criminale. Commette un matricidio, prendendo la prima cosa che gli capita fra le mani, un ciottolo, e rovinando con esso il quadro. È una tipica aggressione da paranoico.»
- sovrapponendo il viso della Gioconda ad alcuni autoritratti di Leonardo, si notano straordinarie somiglianze. Per questo una curiosa teoria sostiene che la donna nel quadro sia in realtà un autoritratto dello stesso autore.
- ciò che ha contribuito a rendere l’opera un mito indiscusso fu la sua sparizione per due lunghi anni. La notte del 21 agosto 1911 la celebre Monna Lisa fu rubata dall’italiano, Vincenzo Peruggia, convinto che il quadro fosse stato portato via da Napoleone e che quindi appartenesse di diritto al popolo italiano. Venne catturato solo due anni dopo mentre cercava di vendere la tela ad un mercante d’arte di Firenze. A tal proposito ricordiamo che La Gioconda entrò a far parte della collezione reale francese quando fu lo stesso Leonardo a portare l’opera in Francia e a venderla al re Francesco I per 4000 ducati d’oro. L’opera, dunque, non appartiene al popolo italiano…purtroppo!
La Venere di Milo
Alessandro di Antiochia è il creatore di questa sontuosa statua greca alta circa 2 metri che ritrae la dea dell’amore. Definita dal poeta Heinrich Heine “nostra signora di bellezza”, la Venere di Milo è la massima esponente dell’arte ellenistica e della bellezza femminile. Fu dissotterrata da un contadino nelle isole Cicladi nel 1820 e dopo essere passata per le mani dei turchi fu comprata dall’imperatore Luigi VIII che la donò poi al Louvre.
La domanda che più avvolge quest’opera è “Qual era il gesto delle braccia?” Teneva in mano qualcosa o si adagiava vicino a una colonna? Si ipotizza anche che fosse appoggiata alla spalla del dio Ares. Il principale indizio che ha portato gli studiosi a identificarla come Afrodite, a discapito delle altre dee greche, è l’estrema somiglianza con l’Afrodite di Capua di Lisippo. La tecnica e lo stile dell’opera rappresentano un rinnovamento dello stile classico: il corpo descrive una curva sinuosa dove l’equilibrio tra la levigazione delle parti nude e il fitto panneggio della metà inferiore rende l’insieme sobrio e bilanciato. Ciò che rende questa scultura ancor più enigmatica e misteriosa è il volto della Venere: assolutamente impassibile.
La Libertà che guida il Popolo
Alla Venere di Milo s’ispira la Marianne, personificazione della Francia, della Libertà e protagonista del quadro di Eugène Delacroix. Nell’opera una folla di rivoltosi, rappresentanti di ogni classe sociale, avanza guidata dalla giovane donna che sventola il tricolore francese. A terra giacciono molti cadaveri dei rivoluzionari e sul fondo si alzano i fumi dagli edifici di Parigi (s’intravedono le torri di Notre Dame).
Il dipinto è il simbolo dell’episodio chiamato “Le tre gloriose giornate” del 1830, quando i parigini insorsero contro il re Carlo X. L’opera fu realizzata nello stesso anno degli avvenimenti raffigurati e nell’anno seguente il governo francese acquistò l’opera per 3000 franchi con l’intento di esporla nella sala del Trono del palazzo di Lussemburgo come monito per il «Re Borghese» Luigi Filippo, asceso al trono francese dopo la fuga di Carlo X. L’opera venne però giudicata pericolosa e rivoluzionaria e fu quindi confinata in un attico fino al 1874 quando entrò a far parte della collezione del Louvre.
Siamo nell’epoca del Romanticismo, quando gli artisti francesi erano intenti a realizzare opere connesse con la storia e gli avvenimenti a loro contemporanei. Ci si allontana dall’armonia e l’equilibrio neoclassico per far spazio alla trasmissione delle emozioni suscitate dal momento: un gran movimento di folla si sposta verso il primo piano dove le figure sono disposte in modo teatrale. Luci e colori contribuiscono a creare un’atmosfera drammatica.
Quest’opera rappresenta il primo quadro politico nella storia della pittura moderna e ha ispirato numerosi artisti e politici come, ad esempio, Auguste Bartholdi, uno dei costruttori della Statua della Libertà e Charles De Gaulle. Il quadro fu riprodotto persino sulla banconota da 100 franchi.
Amore e Psiche
Opera terminata dall’artista Antonio Canova nel 1793, Amore e Psiche è la rappresentazione scultorea della storia di Apuleio, scrittore latino del II secolo.
La Leggenda
Venere invidiosa della bellissima Psiche, mandò suo figlio Amore (Cupido) da lei, in modo che s’innamorasse dell’essere più brutto della terra. Il giovane dio tuttavia commise un errore e, dopo essersi punto da solo con una delle sue frecce magiche, si innamorò perdutamente della fanciulla. Per vivere il suo amore “mortale” il dio, di nascosto dalla madre, portò Psiche nel suo palazzo senza rivelarle la sua identità. Andava a farle visita ogni notte, ma facendole giurare di non guardarlo mai in volto. La ragazza, incuriosita dallo strano divieto e istigata dalle sorelle, ruppe il giuramento e spiò le sembianze del suo amante con una lampada ad olio. Amore, accortosi del tradimento, abbandonò la povera fanciulla alla più totale disperazione. Afrodite sottopose quindi Psiche a numerose e difficili prove per farla ricongiungere al suo amato.
L’ultima prova fu di scendere sino agli inferi per chiedere a Proserpina, sposa di Ade, di darle una parte della sua bellezza. La dea consegnò a Psiche un’ampolla contenente un liquido soporifero che la fece cadere in un sonno profondo. Quando Amore venne a sapere delle crudeli prove che la sua amata aveva superato per lui, scese negli inferi e la risvegliò con un bacio. Per non rischiare di perderla di nuov,o Amore condusse Psiche sull’Olimpo dove, grazie all’appoggio e all’aiuto di Giove, la giovane principessa, dopo aver bevuto dell’ambrosia, divenne una dea. La leggenda si conclude con il matrimonio dei due innamorati e la nascita di una bellissima bambina che prese il nome di Voluttà.
La bellezza indiscussa dell’opera
L’intero complesso scultoreo, in ogni suo piccolo dettaglio, rappresenta la perfetta combinazione di armonia ed equilibrio del neoclassicismo. Le ali di Amore e le gambe dei due amanti formano una X che ha il suo centro proprio nel momento del bacio. Allo stesso modo l’intreccio delle braccia concentra l’attenzione sui due volti, in un cerchio con cui Psiche incornicia il volto del suo Amore. Da qualunque angolazione la si guardi, il marmo sembra carne vera e rappresenta la bellezza. Gustave Flaubert, dopo averla ammirata più volte, confessò:
“Non ho guardato nulla del resto della galleria; ci sono ritornato in diverse riprese e, l’ultima, ho baciato sotto l’ascella la donna in deliquio, che tende verso l’amore le lunghe braccia di marmo. E il piede! La testa! Il profilo! Mi si perdoni, dopo molto tempo è stato il mio solo bacio sensuale; era qualche cosa di più ancora, baciavo la bellezza stessa“.
Le Nozze di Cana
L’opera di Paolo Caliari, detto il Veronese, spicca imponente sulla parete di fronte alla celebre Monna Lisa. Datato 1563, la tela raffigura un episodio del Vangelo secondo Giovanni, ovvero la tramutazione dell’acqua in vino che avvenne durante delle nozze a Cana. Ricca di dettagli che descrivono minuziosamente la realtà del tempo, la scena vede nella tavolata Cristo con Maria, e al centro un gruppo di musicisti, tra i quali si possono riconoscere l’autore stesso con un abito bianco mentre suona la viola e l’artista Tiziano vestito di rosso che suona il contrabbasso. All’interno del quadro sono inserite in totale 133 figure, tra aristocratici, veneziani, servi, soldati, cani, giullari e nani. Tra i protagonisti che si possono riconoscere troviamo Maria I d’Inghilterra, Solimano il Magnifico, Vittoria Colonna, Carlo V, Eleonora d’Asburgo, Francesco I di Francia, Marcantonio Barbaro, Daniele Barbaro, Giulia Gonzaga, Reginald Pole e Triboulet.
Il quadro rappresenta una libera e laica interpretazione dei temi religiosi da parte dell’artista che non sempre piacque alla Sacra Inquisizione, la quale decise di intervenire con la censura, culminata nel processo, a carico dell’artista, per la sua sconveniente e blasfema interpretazione dell’Ultima Cena. Il Veronese si difese affermando: “Noi pittori ci prendiamo le licenze che si prendono i poeti e i matti…e se c’è dello spazio libero sulla tela, io lo adorno di figure”.
La Nike di Samotracia
Essa rappresenta la dea alata figlia di Pallante che annuncia la vittoria militare posandosi sulla prua di un veliero. L’opera, che fu trovata nel 1863 in un’isola del mar Egeo di nome Samotracia, oggi è esposta all’interno del Louvre in una posizione di rilievo: alla fine dello scalone realizzato da Hector Lefuel, tra la Galerie d’Apollon e il Salon Carré. Questa collocazione regala indiscutibilmente una delle più forti emozioni all’interno del museo. Attribuita a Pitocrito, l’opera è una scultura in marmo pario di scuola rodia, databile al 200-180 a.C. Il suo fascino, oltre che nel perfetto drappeggio e nella sinuosità e imponenza della figura, sta nell’assenza del volto.
Louvre – La Zattera della Medusa
L’opera di Théodore Géricault racconta del naufragio della nave ammiraglia francese Medusa, diretta nella colonia del Senegal. L’incidente, avvenuto a largo delle coste africane, vide i funzionari salvarsi a bordo delle scialuppe, e molti uomini e donne invece furono imbarcati su una zattera che, inspiegabilmente sganciata, fu ritrovata 13 giorni dopo con soli 15 superstiti.
L’opera di stampo romantico, come quella del collega Delacroix sottolinea l’espressione delle persone e i loro gesti, la drammaticità e la sofferenza provata in quegli attimi, il tutto organizzato in una struttura piramidale che ha ispirato “La Libertà che guida il Popolo”. Spicca su tutti un uomo di colore che sventola un drappo rosso nella speranza di farsi vedere da una nave lontana. L’artista ha subito diverse influenze: Caravaggio nella luce, Michelangelo nella plasticità dei corpi e Goya nella drammaticità dei gesti. Il dipinto ricorda ai francesi e al resto dell’Europa che la sopraffazione, oltre ad essere ingiusta, non può mai durare a lungo.
Louvre – Il Codice di Hammurabi
Questo reperto archeologico costituisce la punta di diamante del Dipartimento delle Antichità del Vicino Oriente del Louvre. Si tratta di una stele in diorite che riporta, inciso sulla sua superficie, un codice di leggi emanate da Hammurabi, re di Babilonia, nel XVIII sec. a.C. La stele, risalente al 1772 a. C., fu rinvenuta a Susa (attuale Shush, in Iran) all’inizio del ‘900 da un archeologo francese, Jacques de Morgan.
Si tratta del primo codice di leggi scritte, grazie al quale i cittadini potevano sentirsi tutelati. Esistevano già dei codici ma venivano tramandati per via orale finchè il re Babilonese decise di metterle per iscritto. La stele è alta più di due metri e presenta nella parte superiore il re Hammurabi che prega Shamash, dio della giustizia e nella parte inferiore una lunga serie di iscrizioni cuneiformi, ovvero le 282 leggi.
Una curiosità: nel Codice di Hammurabi esisteva una legge che informava che i baristi che avessero servito birra annacquata sarebbero stati giustiziati.
L’Incoronazione di Napoleone
L’opera più importante di Jacques Louis David realizzata tra il 1805 e il 1807, rappresenta la cerimonia d’incoronazione di Napoleone come Imperatore dei francesi e di sua moglie Giuseppina dinanzi al papa dentro la cattedrale di Notre Dame. Sulla tela sono dipinti gli 80 invitati, tutti realmente esistiti. Al centro, Napoleone in abiti imperiali nell’atto d’incoronare sua moglie Giuseppina di Beauharnais, inginocchiata a sinistra. Come testimone, in fondo a destra c’è papa Pio VII.
Ricordiamo che Napoleone s’incoronò da solo, sostituendosi al papa, cui spettava tradizionalmente il compito di conferire l’autorità imperiale. Un atto per sottolineare la provenienza del potere solo dalla sua persona e soprattutto l’indipendenza dell’impero dalla Chiesa, senza però rompere i patti con essa. Osservando il volto di Napoleone, notiamo che sulla testa porta una semplice corona d’alloro dorato come gli imperatori romani, ma solo successivamente si pose sul capo una corona vera e propria che lui nominò “Corona di Carlo Magno”, perché identica a quella del famoso sovrano che venne distrutta dai giacobini un decennio prima.
Una curiosità: la madre di Napoleone, Letizia Ramolino non partecipò di fatto alla cerimonia d’incoronazione per protesta personale, in quanto non riteneva Giuseppina degna di essere né la moglie di suo figlio, né tantomeno imperatrice. Napoleone ordinò a David di ritrarla al centro della prima tribuna, dove lo stesso artista compare in alto a sinistra mentre disegna la scena di quello che sarà poi il famoso dipinto con cui si conferma il più grande maestro del Neoclassicismo francese.
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