Dopo la lezione riguardante il maestro Charles Baudelaire, è giunto il momento di analizzare coloro che seguirono le sue impronte, i poeti maledetti, fino alla nascita del simbolismo. L’espressione venne coniata da uno di questi, Paul Verlaine, nel 1884, ed è proprio di Paul che vi parlerò come primo autore.
VITA IN BREVE
Nasce nel 1884 a Metz e trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Parigi. Frequenta i circoli letterari e i poeti parnassiani. Ben presto segue una vita disordinata e nel 1871 ha un rapporto turbinoso ed equivoco con Rimbaud (il secondo poeta maledetto), al quale un giorno sparerà in preda all’alcool, ferendolo leggermente. In prigione si avvicina alla fede cattolica, nel 1874 esce di prigione e prova a seguire una vita normale, ma senza successo. Muore nel 1896, dopo aver vissuto in un susseguirsi di disordine e miseria.
NUOVA POETICA
Le sue prime raccolte poetiche hanno molto in comune con i parnassiani, ma si avverte già che il cambiamento è vicino. In “Feste Galanti” (1869) descrive la vita settecentesca inserendo una vena di malinconia che rompe già la marmorea impassibilità parnassiana.
le sue prime raccolte poetiche hanno molto in comune con i parnassiani, ma si avverte già che il cambiamento è vicino. In “Feste Galanti” (1869) descrive la vita settecentesca inserendo una vena di malinconia che rompe già la marmorea impassibilità parnassiana.
D’altronde, visto il personaggio, è più logico che sia Baudelaire il suo riferimento, piuttosto che i poeti parnassiani. Verlaine, all’altalena di Charles tra redenzione e perdizione, aggiunge una vena più vaga, malinconica, “crepuscolare”.
“Pioggia nel mio cuore / come sulla città / cos’è questo languore / che mi penetra il cuore?“
C’è un gusto per il dissolvimento della realtà in immagini sempre più imprecise. Più tardi, nel suo componimento Arte poetica, riuscirà a dare forma teorica a queste sue sensazioni. Vediamone i punti salienti, che fondamentalmente sono quattro:
- L’esigenza di musicalità, intesa come invito al sogno come obiettivo del poeta;
- Assonanza preferita alla rima, considerata tirannica costrizione per il poeta;
- Il ripudio del tono declamatorio, ossia dell’eloquenza.
- Il compito del poeta non è fare un inventario della realtà, ma coglierne l’essenza (noumeno).
Verlaine con la sua poesia mira a scendere al nocciolo, a cogliere l’invisibile nel visibile. Si tratta di un momento fondamentale per l’arte contemporanea, che si lega all’esperienza della pittura francese che in quel tempo aveva già intrapreso la stessa strada.
CONSEGUENZE
Il poeta non si è limitato a teorizzare questi canoni, ma li ha tradotti in complete realizzazioni. Romanze senza parole (1874); Saggezza (1881); Jadis et naguère (1884). Si distingue, ovviamente, per la spiccata componente musicale. Rievoca paesaggi grigi e spenti, per aspirare a una sorta di irraggiungibile serenità e pace. C’è sempre una stanchezza sensuale, un compiacimento della sconfitta. Non a caso, nel sonetto “Languore” Verlaine si paragona all’impero romano in caduta:
“Sono l’Impero alla fine della decadenza“
Da Verlaine deriverà tutto quel filone di poesia dai toni elegiaci e intimistici, nel quale si possono includere autori come Maurice Maeterlinck o Jules Laforgue o Francis Jammes; un filone che arriverà fino al D’Annunzio del Poema paradisiaco e ai poeti crepuscolari.
VITA IN BREVE
Anche Rimbaud ha tutte le caratteristiche del poeta maledetto. Cresciuto nel più rigido perbenismo, sviluppa un desiderio di ribellione che lo porta – una volta conclusa l’adolescenza – ad alcool e vita sregolata. Oltre al già citato rapporto con Verlaine, concentra TUTTA la sua produzione poetica (parliamo di componimenti che hanno cambiato la storia della poesia contemporanea) tra i 17 e i 20 anni. Poi, pianta tutto in asso e va in Africa a fare il mercante di coloniali. Qui prende un infezione, gli viene amputata una gamba e muore a trentasei anni. C’è n’è abbastanza per far sorgere quel “mito di Rimbaud” che ancora oggi appassiona biografi e critici.
IL RIBELLE
Rimbaud ha creato una frattura insanabile con il passato letterario. Con lui si riparte da zero. Infatti, tutti i movimenti d’avanguardia del novecento, dai simbolisti ai surrealisti, non si rifaranno a Verlaine ma a lui. C’è in lui una polemica contro la società, il conformismo e la mediocrità borghese. Tuttavia, all’interno di questi schemi canonici c’è qualcosa di nuovo. In una lirica (Il Fabbro, 1871), il poeta indugia con particolare compiacimento nella descrizione della “canaglia“:
“La folla spaventevole che ha il rumore dell’onda / Ed urla come cagna, urla come fa il mare…“
“La canaglia, Sire /sbava sui muri, sale, pullula come i vermi / E siccome non mangian, Sire, sono straccioni!” (trad. I. Mergoni)
Certo, porta all’esagerazione la componente rivoluzionaria, ma versi come questi sono la manifestazione di un attrazione verso le forme vili o miserabili dell’esistenza che spingerà Rimbaud a cercare la fuga e la miseria per non soccombere alla vita borghese. Nella mancanza di decoro della canaglia, Arthur vede “tutto quello che Madame Rimbaud esecrava, tutto quello che non voleva che i suoi figli diventassero” (I. Margoni).
IL VEGGENTE
Sempre nel 1871, egli scrive anche Il Battello ebbro; parla di un battello in balia delle acque, alla deriva, trasposizione dell’esperienza biografica del poeta. Con questo componimento il ribelle succede il veggente, trova una via d’uscita nella ricerca di un mondo nuovo, in una visione onirica. Rimbaud teorizza tutto ciò in un brano della famosa “Lettera del veggente (1871)“:
“Il poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato disordine (dérèglement) di tutti i sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenze, di pazzie; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza […] Dunque il poeta è veramente un ladro di fuoco. Ha l’incarico dell’umanità, degli ‘animali’ addirittura; dovrà far sentire, palpare, ascoltare le sue invenzioni. Il poeta definirebbe la quantità di ignoto che nel suo tempo si desta nell’anima universale“.
Questa poetica – del veggente – nasce sempre dalla stessa matrice del ribelle, ossia dal rifiuto di un mondo odiato sin dall’infanzia, il mondo borghese con le sue certezze e il buonsenso.
CONSEGUENZE
In quanto alle conseguenze di questa poetica, possiamo ribadire che Rimbaud ha creato nuove strade mai battute fino a quel momento. Infatti, narrazione e descrizione, nella poesia, abbandonano le classiche categorie (spazio, tempo); crollano le impalcature sintattiche della lingua, per evocare invece di comunicare… si crea una realtà nuova, tratta dall’ignoto, dal laggiù, dalle profondità inesauribili dell’io. Nelle opere successive (Una stagione all’inferno, 1873 e Illuminazioni, 1874) cerca di realizzare il “disordine di tutti i sensi“, un arte che si attua in una sorta di deragliamento da tutto.
“Io mi abituavo alla pura e semplice allucinazione: vedevo con tutta tranquillità una moschea al posto di un’officina; una scuola di tamburi fatta da angeli, calessi sulle strade del cielo, un salone in fondo ad un lago mostri misteri“.
Rimbaud teorizza tutta la sua opera tra i 16 e i 19 anni. Come ha detto il suo biografo, egli “visse nel giro di tre anni l’evoluzione letteraria dei tempi moderni“.
VITA IN BREVE
Nel breve giro di un quindicennio (1870-1885) realizza una straordinaria produzione poetica che sarà punto di riferimento per la futura lirica europea. Nato a Parigi nel 1842, soggiornò a lungo in Inghilterra, che lo influenzò molto dal punto di vista filosofico. Qui fu anche professore e i martedì – giorni in cui riceveva gli amici – divennero il più prestigioso cenacolo letterario del tempo. Morì nel 1898 a Valvins, Seine et Marne. Ciò che gli diede la spinta per diventare famoso fu un componimento scritto nel 1876, “Il pomeriggio di un fauno“, e il celebre giudizio che diede a Huysmans nel suo romanzo “A ritroso” del 1884:
“Il poeta viveva separato dal mondo delle lettere; protetto dal proprio sdegno dalla stupidaggine che lo circondava, raffinando pensieri già in se stesso speciosi“.
OLTRE IL REALE
Mallarme porta alle ultime conseguenza quel processo iniziato da Baudelaire, di smaterializzazione della poesia, quella fuga dalla realtà che in lui trova lucide teorizzazioni e suggestive realizzazioni. Tale fuga derivano dal fatto che, per Mallarme, la rappresentazione oggettiva della realtà dà un facile appagamento che distoglie dalla ricerca di una realtà più profonda, rendendoci paghi delle apparenze, e facendoci dimenticare l’essenza/anima delle cose. Il poeta, quindi, tra il volgo che ha occhi e non vede ed orecchi e non ode, è l’eletto che inizia a questa conoscenza e indica la strada.
CANONI DI POETICA
Schematizzando, ecco alcune tecniche teorizzate da Mallarmé per raggiungere i suddetti obiettivi:
- Evitare di puntualizzare, di definire gli oggetti realisticamente (va contro i parnassiani);
- Dare un senso più puro alle parole (depurarle dai detriti della giornaliera comunicazione);
- Mallarmé opta per una puntigliosa intransigenza, che ha molto di intellettualistico e di volontaristico (si differenzia da Rimbaud, che approda sì all’oscurità, ma senza cercarla);
- Cerca di trovare la parola assoluta, bruciando ogni materialità (ascetica ricerca dell’assoluto);
- Riscoprire il potere magico e incantatore della parola (formule degli antichi riti = poesia);
- Ricorrere ai simboli non come dato logico, ma “scelti dal poeta a rappresentare alcune sue intenzioni particolari, come travestimento per tali intuizioni” (E. Wilson).
Mallarmé avrà un significativo peso nell’ermetismo italiano.
CONCLUSIONE
Mallarmé costituisce un approdo ma anche l’inizio di una nuova fase. Nel 1886 infatti sorse una nuova scuola, il simbolismo, con un manifesto lanciato da Jean Moréas dalle colonne del “Figaro“. Da Baudelaire in poi quindi è avvenuta una svalutazione dei moduli poetici tradizionali, un’ampliamento dei confini del poetabile che non si restringono più alla realtà; una dilatazione del potere della parola che assume:
- Potere musicale in Verlaine;
- Potere magico e incantatorio in Rimbaud;
- Potere di creazione di realtà nuova con Mallarmé.
A questa linea, parallelamente, si accompagnava l’ansia di dar voce all’inesprimibile, la teorizzazione del poeta veggente, la cui meta era arrivare all’ignoto. Arrivati a questo punto, è ovvio che “Solamente un linguaggio fondato su valori e rapporti simbolici poteva dare realtà a simili aspirazioni” (G. Gabetti). Da Mallarmé in poi – chiarificatrice è in questo sento la pittura simbolista – quel mondo reale e umano viene intellettualisticamente tradotto in cifra, in calibrato rapporto di simboli, con un geometrico e freddo rigore.