Da grandi aspettative derivano grandi delusioni. È un po’ quello che mi è successo leggendo Da lontano sembrano mosche, il libro di Kike Ferrari vincitore, peraltro, del premio come miglior opera prima al festival dea Semana Negra di Gijon (Spagna).
La finestra temporale in cui si svolge la vicenda è meno di un giorno. Il contesto storico investe gli anni successivi al default dell’Argentina del 2001, quando la politica ultraliberista di Menem e dei successivi governi portò il Paese sudamericano nel baratro.
Il protagonista è il signor Machi, padrone di un piccolo impero, colluso in ogni sorta di traffico. Un mafioso, per capirci, il tipico capitalista di quegli anni.
Il successo è una scema bionda che ti succhia l’uccello, l’aroma di un Montecristo. Il successo è la pastiglia azzurra e dieci milioni di dollari in banca.
Da lontano sembrano mosche – pag 14-15
Questo pensa Machi mentre si guarda allo specchio nella primissima parte del libro, e fornisce al lettore una precisa idea del personaggio con cui si avrà a che fare: semplice, intelligente ma povero di cultura; d’altronde, gli uomini di cultura e scrupolosi non possono sopravvivere in quell’ambiente.
È sposato con Mirta, e l’ha tradita non si sa quante volte. Lei sta con lui per amore, non certo per soldi, dato che il padre è più ricco di Machi. Qui dunque abbiamo la prima contrapposizione dell’opera: Machi ama definirsi un Self-made man, mentre lui stesso ritiene che il padre della moglie sia nato con la “ricchezza sotto il culo”, che in poche parole non se la sia guadagnata. I due non sono in grado di apprezzarsi: da una parte abbiamo il povero che diventa ricco ricorrendo a tutti i mezzi possibili e illeciti, dall’altra un ricco borghese che disprezza senza dubbio qualunque atto mafioso.
Ma arriviamo al nocciolo. Machi, in un giorno qualunque, sta sfrecciando a tutta velocità nel suo “BMW da duecento testoni”, come ama chiamarlo. Improvvisamente, fora una gomma e scende imprecando. Scopre che non ha forato per caso, ma che qualcuno ha messo dei chiodi lungo la strada, per lui. Scopre poi – qui arriva il bello – che qualcuno ha superato i sistemi di sicurezza del suo Imperio e ha messo un corpo morto nel bagagliaio della fiammante BMW.
Grazie a una scrittura semplice quanto incalzante, l’autore trascina il lettore in una spirale di tumultuosi avvenimenti, che si possono riassumere in “Machi che cerca di disfarsi del cadavere“. Ogni tentativo peggiora la situazione, mettendolo sempre più a rischio.
Ora, non voglio spoilerare il finale, non l’ho mai fatto e non lo farò oggi. Dico solo che da un preludio come questo si creano aspettative altissime. Quando lo si fa, da scrittori, bisogna sapere che il finale dovrà essere altrettanto potente, altrimenti sgonfierà la bolla di Hype creata. Chi ha visto la serie TV “Lost” mi capirà. Il finale di per sè consegna al lettore una morale, fornisce anche una plausibile conclusione, ma NON risponde alle domande tipiche di un noir.
Non dico altro. Da lontano sembrano mosche è un libro che seduce e abbandona, proprio sul più bello.