James Joyce nacque a Dublino nel 1882 e compì gli studi classici in una scuola di gesuiti. Esperienza biografica, questa, che verrà trascritta dall’autore ne “Il ritratto dell’artista da giovane” (A portrait of the artist as a young man) edito nel 1916. Il romanzo è conosciuto in Italia come Dedalus.

UN PO’ DI VITA

Dopo la laurea conseguita nel 1902, si recò a Parigi attratto dal prestigioso ruolo di “guida culturale europea” che questa città assolveva già da parecchi decenni. Ritornato qualche anno dopo a Dublino – ma in conflitto sempre maggiore con l’estremo nazionalismo culturale di questa città – nel 1904 la abbandonò definitivamente. Dal 1904 al 1915 visse a Trieste, facendo l’insegnante di inglese, e venne in contatto con Italo svevo. Si trasferì poi a Zurigo, dove trascorse qualche anno e poi nel 1920 a Parigi. Morì a Zurigo nel 1941.

La pubblicazione delle opere di Joyce fu piuttosto travagliata: i dublinesi (The Dubliners) dovettero attendere parecchi anni e poterono uscire solo nel 1914. Inoltre, Joyce ebbe dei contrasti con i suoi concittadini (urtati dalla sua rappresentazione della società dublinese, fortemente criticata). L’Ulisse, uscito nell’originale inglese a Parigi nel 1922, venne tradotto in francese nel 1929 e, dopo opposizioni e traversie dovute a riserve moralistiche, solo nel 1933 poteva essere pubblicato nei paesi anglosassoni. Nel 1939 uscì la sua ultima opera narrativa, la Veglia di Finnegan, che per l’estremo sperimentalismo ha suscitato contrastanti valutazioni critiche.

IN BILICO SULLA TRADUZIONE

Le due prime opere narrative di Joyce – I Dublinesi (1914) e Dedalus (1916) – si può dire che rientrino nei canoni tradizionali della narrativa. I 15 racconti dei Dublinesi presentano un ampio affresco di quella città alla quale Joyce fu legato per tutta la vita da un ambiguo legame di odio-amore: una galleria di tipi umani, di abitudini, di ambienti emerge da queste pagine nelle quali moduli di rappresentazione adottati dall’autore mirano a mettere in luce caratteristiche situazioni della gente di Dublino.

Ma l’attenzione – ed è un elemento fondamentale per capire la futura produzione dello scrittore – è rivolta soprattutto alla psicologia dei personaggi. La realtà esterna è minutamente descritta ma strumentalmente, solo in quanto fornisce agganci per capire il meccanismo che scatta nell’animo del personaggio. Per fare un solo esempio: James Joyce indugia sull’atmosfera opprimente della vita d’ufficio, sulla giornata del misero impiegato (che passa da un’umiliazione che gli infligge il suo capo ufficio a un bicchiere di birra in uno squallido pub) solo per individuare le premesse che spieghino la “rivalsa” (è il titolo del racconto) che il protagonista trova alle proprie frustrazioni nel picchiare a sangue, tornato a casa, il figlio bambino.

DEDALUS

La vocazione all’indagine psicologica si accentua in Dedalus: qui la critica ha messo in luce gli elementi realistici, ma le caratteristiche fondamentali che via via si affermano sono le analisi delle reazioni del protagonista, Stephen Dedalus. Di fronte all’opprimente conformismo del collegio gesuitico in cui vive, si apprende il faticoso processo di liberazione che lo porta a rifiutare i valori borghesi vittoriani e a prendere coscienza della sua missione d’artista. Questa crisi di un adolescente è narrata in una prosa di impianto lirico elaborata e musicale, fitta di rispondenze e di suggestioni ritmiche, mediante la quale Joyce cerca di cogliere quello che di indefinibile e di oscuro c’è nella psicologia dell’adolescente, che tumultuosamente cerca la sua strada.

D’altra parte, nella descrizione di quest’itinerario (siamo di fronte ad un classico esempio di bildungsroman, romanzo di formazione) Joyce trascriveva larga parte della propria esperienza autobiografica adottando nelle ultime pagine dell’opera la forma diaristica. Inclinava manifestamente verso una interiorizzazione del rapporto col mondo esterno, si spostava verso quelle soluzioni formali che avrebbero costituito la novità dell’Ulisse.

ULISSE

L’azione del romanzo si svolge a Dublino, nella giornata del 16 giugno 1904. Dei due protagonisti uno, Leopold bloom, è un ebreo irlandese, agente di pubblicità e uomo assolutamente qualunque, l’uomo Massa del mondo moderno. L’altro, Stephen Dedalus, è un giovane e inquieto intellettuale. Un ruolo non del tutto secondario ha inoltre la moglie di Bloom, Molly, una mediocre cantante continuamente infedele al marito.

Seguendo fedelmente la traccia dell’Omerica Odissea e considerata un grande viaggio sperimentale nel mondo antico, l’autore fa percorrere in lungo e in largo ai suoi due personaggi una grande città moderna, Dublino, che può dare una sintesi materiale e spirituale del mondo di oggi. I due personaggi sono complementari e lo riconoscono incontrandosi. Bloom, in cui tutto si riconduce a emotività sensuale, a pratica esperienza e frivola curiosità, finisce col prendersi in casa Dedalus, l’inquieto intellettuale, cupido di tutte le astratte curiosità della mente.

L’uno cercava chi potesse sostituirgli un figliolo che gli è morto fanciullo; l’altro cercava un padre in cui potessero equilibrarsi i suoi scompensi mentali. Le avventure che conducono alla fusione di cotesti due uomini si svolgono nel giro di una giornata, dall’alba alla notte: ogni ora ha il suo episodio e corrisponde a un canto dell’Odissea: ogni episodio ha il suo centro di sensazioni in una parte del corpo umano ed è anche contraddistinto da un simbolo […]: in ciascuno di tali momenti è considerata una singola attività dello spirito o dei sensi, con mutamenti di linguaggio e di stile conformi all’argomento, ai personaggi introdotti e alla situazione.

S.Benco

LE NOVITÀ DELL’ULISSE

Joyce prosegue – nello stesso anno 1914 conclude Dedalus e comincia a lavorare all’Ulisse – la strada già imboccata in Dedalus e la porta alle ultime conseguenze. L’interesse per la vicenda interiore del personaggio, per la sua realtà psichica-poliedrica dalle innumerevoli facce spinge Joyce a superare le normali coordinate di tempo e di spazio, entro le quali era stata sino ad allora rappresentata l’esperienza psichica del personaggio. Lo porta cioè a tentare di descrivere il cosiddetto “flusso di coscienza“, quella ininterrotta colata di sensazioni, sentimenti, ricordi che costituisce la realtà interiore di ognuno di noi. Rappresentare questa realtà con questo nuovo metodo comportava due conseguenze.

PRIMO

Bisognava superare le normali strutture sintattiche dell’autore narrante. Ritenute insufficienti al suo intento le suddette strutture, Joyce sperimenta il famoso monologo interiore, cioè registra – con una gamma di soluzioni abbastanza varie, di cui le ultime pagine dell’Ulisse sono il caso estremo – richiami e associazioni di idee, l’intersecarsi di differenti piani temporali. È appena il caso di ricordare che siamo sulla strada imboccata negli stessi anni da Proust, il quale però – è una differenza importante! – non rinunciava a organizzare razionalmente il tutto; né si può trascurare la suggestione che gli studi di Freud già esercitavano.

SECONDO

Era necessario arrivare a toccare – e a rappresentare – il fondo scuro e inconfessato dell’animo umano. il groviglio degli istinti, delle tortuosità, il complesso mascherarsi dell’uomo a se stesso. James Joyce non arretra di fronte a questo impegno, ma ciò comportava nei riguardi delle pudibonderie e della mentalità vittoriana un attacco ben più massiccio di quello che aveva usato Oscar Wilde. Si spiegano così le riserve iniziali di tanta critica, dovute non solo alle novità formali dell’opera.

LA SPERIMENTAZIONE LINGUISTICA

Assieme ai crollo delle strutture narrative tradizionali, un altro elemento fondamentale dell’ulisse è lo sperimentalismo linguistico, che si configura in vari modi. Per chiarezza potremmo così schematizzare:

PRIMO

Ogni personaggio, secondo la tecnica del monologo interiore, rifrange il mondo esterno nella sua psiche in un particolare modo: il flusso di coscienza è un dato costituzionale di ognuno, ma approda in ognuno ad esiti differenti in relazione alla sua sensibilità, alla sua cultura, al suo patrimonio sentimentale.

Come ha notato uno dei più autorevoli critici inglesi, E. Wilson, nel flusso di coscienza di Stephen Dedalus c’è una complessa tessitura di immagini poetiche e di memoria di cose lette – assente in quello di Bloom, che è un uomo qualsiasi, incolore è prosaico. Di conseguenza, James Joyce adotta un particolare registro linguistico a seconda del personaggio e “per distinguere i pensieri di un certo dublinese da quelli di ogni altro” vi spiega le sue straordinarie capacità di mimesi linguistica, cioè di rappresentazione del personaggio, rifacendosi nel linguaggio con una complessa operazione di imitazione di creazione.

In questo caso la sperimentazione linguistica finisce col diventare in certo qual modo uno strumento di rappresentazione naturalistica (volto cioè a dare credibilità, verosimiglianza ai personaggi). La cosa a prima vista può sembrare paradossale ma non lo è poi tanto, se si pensa che le esigenze di precisione realistica erano assai sentite da Joyce, che si preoccupa di farci:

Sapere con esattezza quali abiti indossano i personaggi, quanto pagano le cose che comprano, dove si trovano nei diversi momenti della giornata, quali canzoni popolari cantano, di quali avvenimenti leggono il resoconto nei giornali del 16 giugno 1904.

E. Wilson
SECONDO

Può capitare inoltre che, a seconda dell’argomento O della situazione, nella descrizione James Joyce adotti diversi stili:

  • Prima uno stile aulic, che si rifà ai moduli dell’inglese medioevale;
  • Poi uno gergale
  • Infine uno da disquisizione accademica: l’episodio della biblioteca, ad esempio, e quello del bordello hanno registri linguistici molto diversi.
TERZO

La sperimentazione linguistica con James Joyce ha ancora un’altra e ben diversa funzione che, tanto per intenderci, potremmo chiamare simbolica. Consiste nello sfruttare la componente fonica della parola, la sua dimensione allusiva, evocativa, nel creare un gioco di rapporti e rispondenze con la fusione di parole note o di parole di lingue diverse, o con la creazione magari di termini privi di valore semantico ma carichi di suggestione onomatopeica e fonica.

È chiaro che qui James Joyce sviluppa fino al limite dell’estrema complicazione i canoni e le realizzazioni che abbiamo già visto in Rimbaud e mallarmé. Egli utilizza, per mettere in luce i meandri della coscienza, le associazioni che il suono di una parola può evocare; per dare voce all’ineffabile, obiettivo anch’esso dei Poeti francesi di fine 800.

NEGATIVITÀ DEL QUOTIDIANO

Propongo infine due osservazioni come iniziale avvio alla comprensione dei romanzi.

PRIMO

L’importanza storica dell’Ulisse consiste anzitutto nel recupero del quotidiano che Joyce ha compiuto. Nell’aver accolto cioè ogni aspetto della vita quotidiana, qualsiasi funzione fisica, qualsiasi pensiero dei protagonisti, al di là di qualsiasi remora moralistica o estetica. Per la prima volta veramente, con l’Ulisse, la totalità del reale viene accolta nella letteratura.

SECONDO

Ma questa realtà è quantomai desolante e opaca. Dalla minuta ricognizione compiuta dall’autore sembra legittimo dedurre che è assolutamente fallimentare.

L’opera più complessa e “totale” della narrativa del Novecento e quindi una diagnosi inesorabile della civiltà contemporanea.