Sin dai primi anni del secolo ha inizio l’attività di Benedetto Croce: con una vastità di interessi – dalla filosofia alla storiografia, dall’estetica alla critica – e di produzione veramente rara; ne deriverà una sua egemonia nella cultura italiana (il “papa laico“) che durerà sino alla seconda guerra mondiale. Si tratta d’un impegno culturale e politico perseguito, senza riposo, per quasi mezzo secolo, di una disciplina intellettuale che è anzitutto – al di là di ogni polemica – un altro esempio etico.

LA VITA

  • 1866 – Benedetto Croce nasce a Pescasseroli (L’Aquila).
  • 1883 – Scampato per caso al terremoto di Casamicciola, nel quale perde i genitori e la sorella, si trasferisce a Roma presso lo zio e tutore Silvio Spaventa.
  • 1886 – Si stabilisce – e vi rimarrà per tutta la vita – a Napoli.
  • 1900 – Materialismo storico ed economia Marxista.
  • 1902 – Estetica
  • 1903 – Fonda con Gentile “La Critica“.
  • 1905/09 – Escono via via i volumi nei quali teorizza il suo sistema filosofico.
  • 1911 – Saggi sulla letteratura italiana del Seicento.
  • 1914 – Letteratura della nuova Italia (raccoglie saggi in gran parte pubblicati su “la Critica“).
  • 1915 – Prende posizione per la neutralità dell’Italia.
  • 1917 – Teoria e storia della storiografia.
  • 1920 – Partecipa come ministro della pubblica istruzione al governo Giolitti.
  • 1923 – Poesia e non poesia.
  • 1925 – Dopo iniziali perplessità prende posizione contro il fascismo, polemizza con Gentile, redige il manifesto degli intellettuali antifascisti.
  • 1928 – Storia d’Italia dal 1871 al 1915: nostalgica rievocazione – e polemica contro il presente – dei progressi fatti dall’Italia in regime democratico liberale. Per quest’opera, Mussolini definisce Croce “un imboscato della storia” in quanto, arrestandosi al 1915, non aveva tenuto conto del fascismo.
  • 1929 – Pronuncia un famoso discorso al Senato contro il concordato.
  • 1932 – Storia d’Europa nel secolo decimonono; la celebrazione della “religione della libertà”, un testo fondamentale dell’antifascismo.
  • 1936 – La poesia.
  • 1943/47 – Dopo l’8 settembre partecipa alla vita politica, viene eletto presidente del Partito Liberale Italiano, partecipa ai governi Badoglio e a quello Bonomi, fa parte della Costituente.
  • 1947/52 – Si ritira dalla vita politica, continua a pubblicare, fonda “l’istituto di studi storici italiani”.
  • 1952 – Benedetto Croce muore a Napoli.

LA CRITICA DI BENEDETTO CROCE

Mi sembra opportuno anzitutto sottolineare che, durante la sua lunga attività, Benedetto Croce mantenne sempre una vocazione di attivo intervento nella vita culturale nazionale. Per esercitarla si giovò soprattutto di una sua rivista di storia, letteratura e filosofia, “La Critica“, che uscì ininterrottamente dal 1903 al 1944 (dopo, con libera periodicità, pubblicò i “Quaderni della Critica“).

La Critica pubblicava non solo ampie parti delle opere che man mano Croce e i suoi collaboratori elaboravano (e venivano pubblicate poi dalla casa editrice Laterza), ma dedicava ampio spazio alle recensioni delle opere italiane e straniere, al dibattito di problemi culturali e politici. Tenendo conto di questa funzione svolta dalla rivista si capisce la dichiarazione di Croce:

Nel lavorare alla “Critica” mi si formò la tranquilla coscienza di ritrovarmi al mio posto, di dare il meglio di me e di compiere opera politica, di politica in senso lato: opera di studioso e di cittadino insieme, così da non arrossire del tutto, come più volte m’era accaduto in passato, innanzi a uomini politici e cittadini socialmente operosi.

Benedetto Croce

Le pagine della rivista quindi registrarono le tappe fondamentali dell’azione culturale crociana: il dibattito con la cultura irrazionalistica italiana (riviste fiorentine) ed europea; la polemica contro il “tradimento dei chierici”, contro cioè quella cultura che dall’irrazionalismo era approdata all’attivismo interventista; lo scontro con Gentile, che dalle iniziali posizioni era diventato il teorico del fascismo. In seguito (e sia pure con le cautele imposte dalla situazione del ventennio) “La Critica” fu la pubblicazione più seria della cultura di opposizione: quelle pagine, lette col complesso stato d’animo col quale ci si accosta al proibito, furono scuola di libertà per una generazione di intellettuali.

IL SUPERAMENTO DEL POSITIVISMO

Non è questa la sede per un esame della filosofia crociana: basterà solo fissare qualche punto. Benedetto Croce opera per un superamento del positivismo e degli angusti orizzonti di un metodo che sia nella critica letteraria sia nella storiografia aveva scambiato i mezzi per i fini (restringendoli alla ricerca erudita, alla critica delle fonti ecc.). In questo, Croce si inserisce in una tendenza di fondo di quegli anni, ma con una fisionomia particolare. La sua opposizione al positivismo non è fatta in nome dell’irrazionalismo, ma mira e approda alla costruzione d’un sistema filosofico, organico e razionale, fondamentalmente laico, sostanziato dalla rilettura di Hegel, di Vico, di De Sanctis. Proprio da questa particolare posizione deriva la polemica di Croce nei riguardi di quanti – con un comune denominatore di irrazionalismo ora attivistico ora spiritualistico – sembravano essere suoi compagni di strada nella polemica anti-positivistica, ma in realtà erano abissalmente lontani da lui.

Anche sulle riviste fiorentine si mira allo smantellamento del positivismo e in un primo tempo Benedetto Croce pensa di poter condurre una battaglia in comune con i Papini e i Prezzolini, ma poi le cose si chiariscono: e a lui che si impegna così su due fronti, contro il positivismo ma anche contro l’irrazionalismo inquieto e torbido, quei giovani non potevano perdonare di essere:

Una bomba carica di buon senso, cioè non potevano perdonargli la sua disciplina mentale, fatta di idee chiare e distinte, la sua polemica contro la retorica e la faciloneria tradizionale e contro i nuovi miti decadenti.

C. Salinari

LA CONCEZIONE DELL’ARTE

Anche nella concezione dell’arte – che qui specificamente mi interessa – è possibile ravvisare questa battaglia su due fronti. Croce supera certe tesi positivistiche (l’arte come fatto sensibile, riducibile ai suoi elementi estrinseci, naturalistici o come strumento di predicazione e di redenzione sociale) e inquadra l’attività artistica nel suo sistema della filosofia dello spirito, che contempla due momenti, due forme di attività: una teoretica che si rivolge al conoscere, una pratica che si rivolge al fare.

L’attività teoretica ha due stadi: uno, intuitivo, mediante il quale si ha conoscenza del particolare, ma ancora indistinta e al di qua di ogni giudizio; l’altro concettuale, che comporta quindi il giudizio, la distinzione (vero o falso).

L’arte è tipica del primo momento, è intuizione, conoscenza dell’individuale che non può avere le caratteristiche di giudizio, di distinzione di vero o di falso che sono proprie del momento concettuale. E appunto per questo è intuizione pura, cioè aliena da qualsiasi valore conoscitivo o vocazione moraleggiante. Da ciò deriva l’autonomia dell’arte, che non è quindi né conoscenza teorica né atto morale e neppure mira al conseguimento di obiettivi pratici come la predicazione morale e politica.

La creazione artistica, che è quasi una folgorazione alogica, è poi sintesi unitaria di sentimento e d’espressione (“contenuto” e “forma” dicevano i positivisti): elementi, questi, da non concepire però come ognuno a sé stante ma come un tutt’uno: l’intuizione è nel contempo espressione, linguaggio, e prende forma e connotati espressivi nello stesso momento in cui si verifica: solo così esiste.

Altra caratteristica dell’arte è che essa si dà solo quando l’emozione individuale, il sentimento abbia subito quasi un processo di decantazione e perso ogni sua asprezza. Su questo aspetto fondamentale dell’arte Croce non cesserà di insistere: ancora negli Ultimi saggi (1935) scrive:

Questo è l’incarico della poesia: l’unione del tumulto e della calma, dell’impulso passionale e della mente che lo contiene in quanto lo contempla. La vittoria è della contemplazione, ma è una vittoria che freme tutta della battaglia sostenuta e che ha sotto di sé l’avversario domato e vivente. Il genio poetico coglie e ferma questa linea sottile, in cui la commozione è serena e la serenità è commossa.

Benedetto Croce – Ultimi saggi, 1935

FUNZIONE DELLA CRITICA

Il compito del critico si articola allora in tre stadi:

  • Sentire con congenialità, rivivere dentro di sé la pagina dell’artista (sarebbe questo ancora lo stadio della sensibilità, del gusto che si esplica in una critica impressionistica);
  • Passare poi al giudizio che consiste nel distinguere, nell’estrapolare ciò che è poetico da ciò che non lo è;
  • Definire ciò che è proprio, è caratteristico di quell’artista, procedere cioè all’illustrazione del suo mondo poetico.

Alla teorizzazione del fatto artistico – che dalla prima Estetica del 1902 sino a La poesia del 1936 subì approfondimenti e integrazioni – Croce accompagnò l’esercizio della critica inteso come verifica in vivo, nella lettura di poesia, della sua estetica. Ed ecco i saggi su La letteratura della nuova Italia nei quali la polemica contro il decadentismo è particolarmente vivace, ecco il saggio su La poesia di Dante (1921), tutto rivolto a distinguere e isolare i frammenti di poesia quasi isolotti nel grande nel grande mare della “struttura” (termine con il quale Croce designa il non poetico), ecco i saggi su autori dell’Ottocento poi raccolti nel volume dall’emblematico titolo Poesia e non poesia.

SULL’ESTETICA CROCIANA

Il dibattito sull’estetica crociana, già vivo (le obiezioni di Gentile e Russo, fra gli altri) quando essa ha dominato l’attività letteraria italiana, si è intensificato dopo il ’45 specie a opera della cultura marxista. Basterà qui, sintetizzando, accennare ad alcune perplessità che tale estetica suscita.

  1. L’identificazione di intuizione ed espressione finisce con lo sradicare il prodotto artistico dal suo concreto momento storico, nel quale esistono codificati moduli e regole retoriche (cioè dall’arte del dire) che costituiscono una civiltà letteraria: con essa ogni artista deve fare i conti in un complesso rapporto di condizionamenti e di innovazioni, quando deve tradurre in espressione la sua intuizione. Dall’estetica crociana tutto ciò non è preso in considerazione: da ciò la svalutazione della tradizione retorica e la tesi che non è concepibile una storia della letteratura, bensì una galleria di personalità poetiche autonome
  2. La distinzione tra poesia e non poesia rappresenta un modulo critico non troppo rigido e inadatto a render conto della totalità dell’opera d’arte con la dialettica complessità delle sue varie componenti. Basti pensare a poeti come Lucrezio o Dante o Leopardi, nella cui opera la poesia nasce inscindibilmente congiunta con tutti quelli elementi che Croce ritiene estranei all’intuizione. Il netto rifiuto crociano della componente ideologica nel fatto artistico è certo coerente con la distinzione tra momento intuitivo e momento concettuale (le due fasi dell’attività teoretica), ma porta alla concezione di un’arte depauperata e per così dire asettica. Per Croce infatti l’arte rischia di contaminarsi o di squalificarsi in oratoria ogni qualvolta tragga la sua linfa dal terreno degli ideali (politici, religiosi, civili) elaborati dagli uomini nel corso della loro storia.
  3. Non era poi impossibile a chi operava nell’area del gusto novecentesco così avversato da Croce trarre suggestioni e giustificazioni proprio dalla sua estetica. La concezione dell’arte come folgorazione, come operazione alogica, la ricerca del frammento poetico, l’identificazione di intuizione ed espressione che faceva piazza pulita dei moduli espressivi codificati, non erano poi tanto in contrasto con le posizioni di Serra, di un De Robertis, del primo Ungaretti.

CONCLUSIONE

Tutto ciò, d’altra parte, si lega al ruolo svolto da Croce nella società italiana. Pesava sulla cultura italiana, perché la isolava dai fertili contatti con la cultura scientifica europea. Il suo fermo antifascismo dunque (a partire dal 1925) non aveva altra motivazione che la restaurazione dello stato prefascista. Qui Croce riteneva – opinabilmente – che si fosse realizzato lo stato liberale. Egli accomunava in un giudizio di condanna sia il fascismo sia il socialismo.

Esponente fra i più alti della cultura borghese europea, Croce ha svolto nella vita italiana un ruolo che in complesso non può che definirsi di conservazione, sia pure equilibrata e illuminata, contrassegnata da una forse troppo spiccata nostalgia dell’Ottocento.