Se si vuole parlare dei poeti maledetti – Verlaine, Mallarme, Rimbaud – non si può evitare Charles Baudelaie, colui che è stato l’iniziatore, il “Maestro“.
VITA NEL BREVE
Nato nel 1821, dopo un’adolescenza triste trascorse quasi tutta la vita a Parigi dedicandosi al culto dell’arte e della bellezza, ma con difficoltà economiche continue. La sua vita viene definita dagli studiosi come un perenne alternarsi di disordini e aspirazioni ideali: in questo quadro va visto il suo ricorso all’oppio. Nel 1857 pubblico la famosa raccolta “I fiori del male“. Morì a 46 anni. Per questo si può definire a tutti gli effetti fondatore dei poeti maledetti.
ENNUI e IDEAL
a causa di una vita travagliata, rifiuta l’oggettivismo marmoreo di molti contemporanei e mira a realizzare una poesia dell’uomo, delle sue cadute e tentativi di rialzarsi. C’è quindi un alternarsi tra Ennui e Idéal, tra disgusto di sé da un lato e aspirazioni ideali dall’altro. M. Raymond scrive: “Diviso tra il desiderio di elevarsi e il bisogno di assaporare i forti liquori del peccato; attratto a volta a volta (e talora al tempo stesso) e respinto dagli estremi – l’amore che invoca l’odio e se ne nutre – egli era in preda ad una crudele ambivalenza affettiva“.
Il punto di partenza degli atteggiamenti di Baudelaire è una coscienza di “esiliato“, “angelo caduto” e dunque estraneo al mondo come l’albatro catturato che in cielo è maestoso, ma bloccato a terra non ha senso d’esistere. Questa coscienza di diversità approda in una cupa accidia, stanchezza e disgusto.
Non restano che l’aspirazione alla bellezza e all’arte perseguita con religiosa dedizione, l’oblio della propria disperata condizione e il sogno di nuovi paradisi che ripaghino ciò da cui si è esiliati. In questo contesto si inseriscono i paradisi artificiali di droga o qualsiasi cosa che permetta di abbandonarsi a nuove sensazioni, colori, profumi. Oppure, un’altra soluzione è il vagheggiamento di partire, andare lontano, verso nuove albe, diverse e insolite.
“Tuffarci in fondo all’abisso (inferno o cielo, che importa?) / toccare il fondo dell’Ignoto per trovarvi il nuovo” (Trad. L. de Nardis)
OLTRE I SENSI
un mondo interiore così complesso non può essere espresso da netti confini. La sua poesia è ricca di nuances, sfumature e suggestioni. Baudelaire adora e ammira dalla musica, a cui riconosce il potere di esprimere “quella parte non definibile del sentimento che la parola, troppo positiva, non può rendere“. Un testo esemplare lo troviamo nel sonetto Corrispondenze:
“Tutto l’universo visibile è solo un magazzino di immagini e di segni a cui l’immaginazione darà un posto e un valore relativi; una specie di pascolo che l’immaginazione deve digerire e trasformare“.
Il compito del poeta è dunque quello di decifrare una “foresta di simboli“. Quello di Baudelaire è un invito al disprezzo delle apparenze sensibili, un invito a servirsi liberamente delle parole e delle immagini, per associarle non secondo logica pura.
ARTE COME DOMINIO
pur muovendo dalle premesse già illustrate, Baudelaire aspira a una poesia che diventi dominio sull’informe, sul caos. Insomma, benché orientato verso l’irrazionale e l’occulto, il poeta francese vorrebbe dominare tutto questo come un perfetto alchimista (per usare una sua definizione). In conclusione, non si insisterà mai abbastanza su questa duplicità di Baudelaire: da un lato è l’iniziatore di una nuova poesia che ripudia l’oggettivo e affonda le radici nell’area del non dicibile; dall’altro egli teorizza e attua una poesia che non concede nulla all’arbitrario e all’informe. Sempre M. Raymond sostiene che questa poetica abbia poi creato due filoni della lirica moderna: quello dei poeti maledetti ma veggenti, che va da Rimbaud ai surrealisti e quello dei poeti-artisti (Mallarme, Valery), che si segnalano per un rigore formale spinto ai limiti dell’astrattezza intellettualistica.