Parliamone, perché mi sto seriamente affezionando a quest’uomo. Simon Beckett è uno scrittore e giornalista inglese, prevalentemente di gialli, nominato per il Gold Dagger Award nel lontano 2006.
Per chi non lo sapesse, il Gold Dagger è un premio letterario assegnato annualmente dalla Crime Writers’ Association (Associazione degli Scrittori di Romanzi Gialli), per il miglior romanzo giallo dell’anno. Insomma, non uno sprovveduto.
Perché amo la scrittura di Simon Beckett? Perché adoro il personaggio che l’ha reso famoso: David Hunter. Proprio nel 2006, infatti, Beckett pubblicò “La chimica della morte“, primo di una lunga serie di romanzi che avrà come protagonista questo personaggio e che gli varrà la nomina per l’ambizioso premio già citato.
David è un antropologo forense, in parole povere colui che studia i resti umani nell’ambito di indagini dell’autorità giudiziaria, allo scopo di identificarli e di fornire informazioni utili all’accertamento delle circostanze e delle cause della morte, oltre che all’individuazione di eventuali responsabili. Ciò che rende questo ciclo di opere un successo è sicuramente l’insolito approccio con cui questo genere letterario viene affrontato, mettendo in secondo piano le classiche figure come il detective o l’FBI, accendendo i riflettori sulla scientifica, quella parte che – diciamocelo – ha sempre affascinato noi lettori.
Le indagini di David Hunter insegnano una quantità sconvolgente di informazioni, mostrandoci come un singolo osso del corpo umano, anche in cattive condizioni, possa raccontare più di un intero uomo in vita. Colore della pelle, luogo di provenienza, altezza, modo di camminare e tante altre cose ma soprattutto cause della morte. Inoltre, dire che un antropologo forense si occupi solo di ossa sarebbe riduttivo. Ogni singola particella del corpo umano offre informazioni e spunti che possono rivelarsi di fondamentale importanza per qualunque indagine. La pelle, in particolare, è la parte del corpo umano protagonista dell’ultimo romanzo che ho avuto il piacere di leggere: “I sussurri della morte“.
L’ultimo che ho letto io, certo, ma non certo l’ultimo scritto e pubblicato dal prolifico Simon. Mi manca ancora “Acque morte“, uscito quest’anno e nella mia lista dei desideri da qualche giorno. Non avrà vita lunga nelle librerie, ho questo sentore.
Acquista ora “I Sussurri della Morte”
Acquista ora “Acque Morte”
Ma torniamo al libro precedente, I sussurri della morte, appena terminato. Vorrei lasciarvi proprio con il paragrafo che apre il romanzo nel primo capitolo, per darvi un’idea di quanto la materia in questione possa catturare il lettore e trascinarlo in un vortice di dipendenza dalla quale si può uscire solo voltando l’ultima pagina. Signori e signori, Simon Beckett.
La pelle. L’organo più grande del corpo umano e anche quello più trascurato. In un adulto di stazza media, esso consiste in un ottavo dell’intera massa corporea e copre una superficie di circa due metri quadrati. La struttura della pelle è un’opera d’arte, un nido di cellule, capillari, ghiandole e nervi che regola e, al tempo stesso, protegge. Rappresenta la nostra interfaccia con il mondo esterno, la barriera su cui termina la nostra individualità – il nostro sé. E qualcosa di tale individualità sopravvive alla morte.
Quando sopraggiunge il decesso, gli enzimi che la vita aveva tenuto sotto controllo si scatenano. Divorano le pareti cellulari, provocando la fuoriuscita dei liquidi contenuti. Il fluido sale in superficie, accumulandosi al di sotto degli strati cutanei e causandone l’allentamento. La pelle e il corpo, che fino a quel momento erano parti integranti di un tutto, cominciano a disgiungersi. Si formano vesciche. Intere aree della pelle iniziano a staccarsi, separandosi dal copro come un cappotto sgradito in un giorno d’estate.
Ma, seppur morta e ridotta a uno scarto, la pelle conserva tracce della sua identità. può avere ancora una storia da raccontare – e può custodire qualche segreto.
Ammesso che si sappia come osservarla.
Simon Beckett – I sussurri della morte