Nei prossimi articoli dedicati alla letteratura del 1900, vi parlerò delle reazioni che i vari letterati hanno avuto nel periodo tra le due guerre. Chiaramente mi sembra ovvio distinguere due periodi: pre-regime e durante il regime fascista. Inizierò quindi parlando di Benedetto Croce e il fascismo, illustrando la sua posizione nei confronti del regime.

BENEDETTO CROCE E IL FASCISMO

Nell’opinione comune, l’antifascismo liberale si identifica con Benedetto Croce. Sono però indispensabili alcuni chiarimenti in proposito. Bisognerebbe almeno ricordare altre personalità come Giovanni Amendola e Luigi Albertini, direttore del “Corriere della Sera“. Poi va precisato che Benedetto Croce, come tanti altri illustri liberali (Giolitti fra questi) aveva tenuto nei riguardi del progressivo affermarsi del fascismo un atteggiamento ambiguo, si potrebbe dire quasi di benevola attesa: sul “Giornale d’Italia” del 9 luglio 1924 – da notare che l’assassinio Matteotti era avvenuto il 10 giugno – dichiarava:

Il fascismo non poteva e non doveva essere altro, a mio parere, che un ponte di passaggio per la restaurazione di un più severo regime liberale [,..] Bisogna dar tempo allo svolgersi del processo di trasformazione del fascismo.

Benedetto Croce

Ma questa illusione di “costituzionalizzare” il fascismo – coltivata troppo a lungo, per la verità – alla fine viene abbandonata. E quando Gentile chiama a raccolta gli uomini di cultura con il suo Manifesto degli intellettuali fascisti è Benedetto Croce a stilare il contromanifesto, cioè il Manifesto degli intellettuali antifascisti. Si esce così dalle ambiguità e si crea una situazione che si protrarrà per tutto il ventennio:

Se i fascisti colti si richiamano a Gentile, gli antifascisti non comunisti, ma anche parecchi fra i comunisti, fanno appello all’autorità intellettuale di Croce.

G. Pasquino

FIDUCIA NELLO STATO LIBERALE

Ma, nella visione storico-filosofica di Croce, era dominante la fiducia idealistica nella progressiva attuazione del principio di libertà per gli uomini. In questa superiore prospettiva, il fascismo finiva col ridursi a una sorta di incidente di percorso. Una deviazione dal traguardo finale, l’attuazione della libertà. Il Manifesto di Croce è, si potrebbe dire, il più ispirato elogio funebre che sia stato scritto dello stato liberale erede del Risorgimento. Al fascismo trionfante, considerato quasi un casuale incidente nel meccanismo democratico-borghese, Croce non riesce a opporre altro che la restaurazione di tale stato.

L’antifascismo crociano quindi per il presente e per il futuro non poteva proporre altro che l’esempio del passato – che egli intanto rievocava con nostalgica adesione in opere fondamentali nella cultura antifascista: Storia d’Italia dal 1871 al 1915; Storia d’Europa nel secolo XIX.

Non era comunque esente da un certo attesismo: ai giovani desiderosi di “agire”, egli ripeteva che per il momento non restava che studiare e prepararsi per il futuro. Anche la sua concezione del ruolo di intellettuale, superiore ed elitaria, aliena da contaminazioni con la politica, si inquadra in questo panorama culturale.