Di contro alla posizione sostenuta dalla “Ronda” – circoscritta al settore letterario – altre riviste sviluppatesi nel periodo fascista come “Il Baretti” meritano attenzione per una battaglia condotta maggiormente nel settore politico-culturale.
Occorre qui richiamare quanto a suo tempo si è detto a proposito del “Ordine nuovo” di Gramsci e de “La Rivoluzione liberale” di Gobetti. Si tratta di riviste non specificatamente letterarie come “La Ronda” e tuttavia tali da meritare un posto in questo dibattito perché l’attività letteraria è concepita da Gobetti e Gramsci come azione in mezzo alla mischia e non al di sopra di essa.
Alla lotta per una nuova società, Gramsci collega il problema di una nuova civiltà letteraria, di una scuola, di un nuovo rapporto tra cultura e proletari. Alla nuova strategia suggerita per la classe dirigente, all’ipotesi di una rivoluzione liberale Gobetti collega la sua idea di un nuovo intellettuale.
SE NON POLITICA, ALMENO CULTURA
Ma la rivista di Gobetti più importante ai fini del nostro discorso è “Il Baretti“. Inizia le pubblicazioni nel 1924, quando ormai “La Ronda” le ha chiuse. Constatato che con il fascismo ormai non c’è più spazio per un discorso politico, Gobetti inizia un discorso più culturale, innestato nel rapporto cultura-società. Il richiamo a Giuseppe Baretti, il polemico autore settecentesco de “La frusta letteraria”, voleva sottolineare la continuità di una letteratura nuova, legata alle cose e agli uomini. In sintesi, le caratteristiche de “Il Baretti” sono:
- La costante esigenza di rinnovamento morale e civile della nazione. Larga responsabilità ed efficacia è affidata alla cultura che viene vista in prospettiva civile, con un ruolo di impegno e di lotta come quello che ebbe nei momenti migliori dell’illuminismo. Contro il recente formalismo de “La Ronda”, Gobetti scriveva:
Tutti politici, tutti combattenti. O nella corte dei padroni all’opposizione. Chi sta in mezzo non è indipendente né disinteressato. Gli scettici sono grati al regime.
- La polemica contro certe chiusure angustie tipiche di un provinciale nazionalismo, dunque la lotta per una dimensione europea. Certe indicazioni offerte dal Baretti avranno profonde risonanze in una nuova generazione letteraria (composta da Joyce, Proust, Rilke ecc…)
Dopo la morte di Piero Gobetti, la sua rivista continua ancora la battaglia intrapresa. Tuttavia, nel dicembre del 1928 la censura fascista la sopprime. Veniva così ridotta al silenzio l’ultima pattuglia avanzata dalla cultura borghese che di contro all’evasione nelle raffinatezze stilistiche aveva lottato per una concezione impegnata della cultura e si era illusa circa la possibilità di una rivoluzione liberale.