Per spiegare la Sindrome di Stoccolma ho deciso di riportare un episodio accaduto negli anni 70, in Svezia. D’altronde è risaputo che uno dei migliori metodi accademici per spiegare un concetto è utilizzare esempi pratici.
LA RAPINA DI OLSSON
Nel 23 agosto 1973, Jan-Erik Olsson, un criminale evaso dal carcere di Stoccolma, fece irruzione nella Banca Centrale Svedese dando un calcio alla porta, tirando fuori una mitragliatrice e sparando contro il soffitto per attirare l’attenzione dei presenti. Con indosso guanti, occhiali, una crema marrone sul viso e una parrucca, urlò alla folla con un finto accento americano:
“La festa è appena iniziata!”
Gli operatori bancari, vedendolo, subito allertarono due agenti di polizia con un allarme segreto. Olsson, con una freddezza disarmante, ferì alla mano l’agente Warpefeldt e ordinò al suo collega, l’agente Morgan Rylander, di sedersi su una poltrona e di “cantare qualcosa” mentre lui continuava a svaligiare la banca indisturbato. L’uomo si mise a cantare una canzone di Elvis Presley con un’arma puntata contro.
Nel frattempo la Banca Centrale veniva circondata da forze armate, impedendo qualsiasi fuga. Olsson cambiò strategia e decise di barricarsi dentro la struttura insieme a 4 ostaggi per chiedere un riscatto di 700.000 dollari, far entrare un suo complice nell’edificio, un’auto per la fuga e l’assicurazione che la polizia li avrebbe fatti fuggire. La polizia acconsentì a tutto, tranne che all’ultima richiesta.
Gli ostaggi erano:
- Birgitta Rudstrand-Lundblad, 32 anni, impiegata della banca;
- Elisabeth Oldgren, 21 anni, una cassiera usata come scudo umano dal rapitore con una pistola puntata alla testa;
- Sven Säfström, 25 anni, impiegato della banca;
- Kristin Enmark, stenografa di 23 anni che il rapitore chiuse nel caveau della banca.
Restarono barricati per 130 ore, più di 5 giorni. La storia si concluse dopo che la polizia fece irruzione dal soffitto staccando la luce, perforando la parete e lanciando gas lacrimogeni. Olsson si arrese per paura, perché nel frattempo il Governo aveva firmato la sua condanna a morte autorizzando tutti gli agenti ad ucciderlo, se necessario, garantendo loro l’immunità giudiziaria.
IL RISVOLTO PSICOLOGICO
Perché questo fatto di cronaca è interessante a livello psicologico?
Quando tutti gli ostaggi furono liberati, vennero intervistati da degli psicologi. La cosa bizzarra era che gli ostaggi, durante i 5 giorni di prigionia, erano arrivati a temere più la polizia che il loro sequestratore.
Kristin Enmark, per esempio, descrisse con enfasi gli atti di gentilezza di Olsson, come l’episodio in cui lui le diede una giacca di lana per proteggersi dal freddo glaciale della Svezia notturna, oppure quando la tranquillizzò dopo un brutto sogno.
Elisabeth Oldgren soffriva di claustrofobia, ovvero una forte paura degli spazi chiusi. Agli psicologi dichiarò che Olsson si mostrò molto premuroso nei suoi confronti, permettendole di camminare fuori dal caveau (legata ad una corda di 9 metri a mo’ di guinzaglio per non farla scappare) per attenuare i suoi sintomi fobici.
Anche Sven, l’unico ostaggio maschio, disse che Olsson li aveva trattati molto bene. Anzi, aggiunse che potremmo:
“Pensare a lui come a un Dio dell’emergenza”
Insomma, durante i lunghi incontri con gli esperti, gli ex sequestrati giudicavano tutti positivamente il loro sequestratore.
IL RAPITORE ERA DAVVERO BUONO?
Il rapitore era davvero buono o si trattava di un fenomeno psicologico?
Jan Olsson era palesemente un soggetto violento e iracondo, ma in quella banca avvenne qualcosa che distorse la percezione che i suoi ostaggi avevano di lui.
Per dare un’idea dell’assurdità della situazione, basta citare l’episodio in cui Kristin parlò al telefono con il Primo Ministro svedese dicendogli che “si fidava pienamente” del criminale, mentre ciò che la spaventava di più in assoluto era la polizia, la quale “potrebbe attaccarci e ucciderci tutti“.
Nemmeno il dolore fisico scalfì l’immagine dorata che i sequestrati avevano di Olsson. Dopo che egli sparò alla gamba dell’impiegato Sven per intimorire la polizia che aveva circondato l’edificio, il povero malcapitato dichiarò:
“Penso che sia stato molto gentile per aver detto che mi avrebbe sparato solo ad una gamba”
SINDROME DI STOCCOLMA
La condizione fu chiamata in seguito “Sindrome di Stoccolma”.
Attenzione: la Sindrome di Stoccolma non è MAI stata riconosciuta in alcun manuale diagnostico di Psicologia e Psichiatria. Non è un disturbo mentale, ma una serie di comportamenti ed emozioni che si attivano inconsciamente in alcune persone (particolarmente influenzabili) a seguito di un evento traumatico, come un rapimento o un abuso familiare.
La Sindrome di Stoccolma sembrerebbe caratterizzata da:
- Simpatia della vittima nei confronti del rapitore a causa del fatto che la sua vita dipende dalle scelte di quest’ultimo.
- Ostilità verso chiunque provi a spezzare il legame tra il sequestrato e il criminale (es: poliziotti o la famiglia),
- Incapacità di adottare diversi punti di vista per giudicare la situazione in maniera oggettiva, ma al contrario adottare ciecamente la prospettiva del rapitore, sposando la sua causa ideologica.
- Questo fenomeno è quello più importante ed è causato da un processo di identificazione con l’aguzzino.
STOCCOLMA – LA CASA DI CARTA
Probabilmente molti di voi avranno riconosciuto alcune di queste dinamiche nella serie TV “La casa di carta”, che vedrà l’uscita della parte conclusiva nel 2021.
Non è un caso infatti che Esther Acebo – che nella serie interpreta Monica Gaztambide – una volta convertita ai “cattivi” assumerà il nome in codice Stoccolma.