Sento l’impellente dovere di esprimere il mio pensiero e approfondire il discorso riguardante il self-publishing in Italia. Questo metodo di pubblicazione, dati alla mano, è in costante aumento, così come l’odio che attira verso sé da parte di lettori e professionisti del settore.
Molti sono convinti che il “mondo editoriale” provi odio verso il fenomeno self-publishing (e chi lo segue) perché semplicemente sottrae loro lavoro e quote di mercato, ma non è così. O meglio, in parte è vero: sarebbe come se foste laureati in fisioterapia e un bambino di quattordici anni, improvvisamente, aprisse uno studio di fronte al vostro, rubandovi tutti i clienti senza la minima conoscenza del mestiere.
MANCANZA DI FIDUCIA
Il danno provocato da chi abusa dell’auto-pubblicazione è molto più vasto e va a incidere seriamente nella fiducia del lettore verso l’editoria italiana e, cosa più importante, verso il fenomeno stesso. Perché in America il self-publishing ha un successo totalmente diverso, è quasi diventato il padrone dell’editoria, trasformandosi in un sistema di cui il lettore si fida e nel quale non fatica a trovare la qualità che cerca.
Discorso totalmente diverso nel nostro paese. Troppi sognatori si improvvisano scrittori e commettono errori madornali, attratti da un sistema che fa sicuramente gola. L’auto-pubblicazione ha percentuali di guadagno destinate all’autore su ogni vendita nettamente superiori rispetto a quelle di una C.E. (70% a fronte di un 10, massimo 15%), ma viene spesso rovinata da chi ne fa un uso scorretto.
UNA DOMANDA
La domanda che sorge spontanea, soprattutto leggendo qualche libro sorteggiato a sorte tra gli auto-pubblicati, è la seguente:
“Quanti di questi considerano di sottoporre i propri manoscritti a editor e correttori di bozze professionisti, prima della pubblicazione?
Pochi. Se tutti seguissero questo passo, curando il proprio manoscritto prima della pubblicazione, allora il self-publishing risulterebbe la scelta migliore. Perché è innegabilmente il futuro. Va anche detto che alcune case editrici non fanno editing – soprattutto le medio piccole – e anche questo contribuisce alla poca fiducia del lettore nell’editoria italiana.
In tutti questi casi ne fa le spese la qualità, quella ricercata dal lettore, che leggendo non vuole più solamente svagarsi ma anche crescere, restare ammaliato da un italiano che ancora non conosce. Invece sbatte la faccia contro oscenità indescrivibili, libri impaginati male, scritti con i piedi, colmi di sviste che costringono gli occhi a contorcersi dieci righe sì e una no. E il ciclo non si rompe, il mercato editoriale affonda, i lettori italiani smettono di leggere gli autori coetanei, rifugiandosi nell’editoria estera o, ancora peggio, nei grandi classici. Ma il risultato qual è? Ci si lamenta del fatto che il popolo italiano non legga più.
TIRIAMO LE SOMME
Ma la colpa, precisamente, dove sta? Il mio articolo potrebbe sembrare a prima vista una sparatoria a campo aperto sul self-publishing. SBAGLIATO.
No, la colpa è di tutti gli pseudo scrittori che si illudono di pubblicare senza fatica, senza riletture, revisioni e tutto il sudore che questo mestiere comporta. Si tratta di una mancanza di umiltà che offende gli autori impegnati realmente nel pubblicare un self di qualità. Non solo, così facendo si perde l’ennesima occasione per importare un sistema funzionante e integrarlo nella quotidianità, portandola a un livello migliore.
Se volete scegliere il percorso dell’auto-pubblicazione, non state affatto sbagliando. Se cercate scorciatoie per poter dire: “sono uno scrittore“, allora rinunciate in partenza e smettetela di rovinare il futuro dell’editoria.