Tra le avanguardie storiche sorte fra le due guerre, il dadaismo e l’esperienza di minor durata e più effimera. Il suo valore consiste soprattutto nella sua pars destruens, ossia nell’aver abbattuto con provocatoria dissacrazione norme e valori tradizionali, nell’aver sgombrato il terreno per ulteriori esperienze.
UN PRIMO SGUARDO
Il movimento nasce a Zurigo e diventa, durante la prima guerra mondiale, un rifugio di irregolari. Parliamo di disertori, antimilitaristi, critici e artisti di varia provenienza, rivoluzionari (tra cui Lenin). Nel 1918 viene pubblicato il manifesto programmatico del dadaismo. L’esperienza dadaista si può ritenere conclusa nel 1924, con l’abbandono del gruppo (Breton, Eluard, Aragon) che gravitava attorno alla rivista “Lìterature” e che per alcuni anni aveva collaborato con Tzara.
Tristan Tzara (1896-1963), poeta francese di origine rumena, corifeo del dadaismo, ha così definito lo stato d’animo del gruppo:
Disgusto e rivolta… Noi eravamo risolutamente contro la guerra senza perciò cadere nelle facili pieghe del pacifismo utopistico. L’impazienza di vivere era grande, il disgusto si applicava a tutte le forme della civilizzazione cosiddetta moderna, alle sue stesse basi, alla logica, al linguaggio, e la rivolta assumeva dei modi in cui il grottesco e l’assurdo superavano di gran lunga i valori estetici.
Tristan Tzara
Da questi atteggiamenti derivano quasi inevitabilmente certi canoni.
CANONI DEL DADAISMO
I canoni principali sono il declassamento dell’attività (“l’arte non è una cosa seria”, dira Tzara in un suo manifesto) e l’assoluta preferenza data al gioco, alla combinazione casuale di parole e oggetti. Di per sé il nome del movimento sembra un gioco, un vocabolo francese mischiato con uno tedesco.
Poi sicuramente la presa di coscienza che nella civiltà capitalistica anche l’arte è sottoposta ad un processo di mercificazione. I dadaisti tentano di mettere in evidenza questa situazione, di far scoppiare questa contraddizione portandola paradossalmente all’estremo, e perciò o presentano la merce come prodotto estetico (il “portabottiglie” di Duchamp). Oppure presentano provocatoriamente il gratuito e il non senso come attività artistica (Duchamp dipinge dei baffi sulla Gioconda leonardesca e firma il tutto come opera sua).
LA PRODUZIONE LETTERARIA
Più che sui giochi grafici, sulle divertenti scomposizioni del linguaggio, sulle gratuite accozzaglie di parole, vale la pena soffermarsi sull’incidenza del dadaismo in campo teatrale.
Qui i dadaisti infrangono le convenzioni tra spettatori e pubblico, attuano delle “spettacolazioni” che instaurano nuovi rapporti (provocazioni, insulti, dibattiti) tra palcoscenico e sala. Oppure, quando esiste un testo, come nel caso de “La prima avventura celeste del signor Antipirina” (rappresentata nel 1920 dallo stesso Tzara con A. Breton, L. Aragon e altri), mirano a determinare:
Gli stessi effetti di deflagrazione e di distruttività radicali già perseguiti in poesia e in pittura. Le parole fuoriescono liberamente, spontaneamente, al di là di ogni coerenza logica e sintattica. Viene così colpito lo specifico teatrale, il dialogo, che cessa di funzionare come mezzo di rapporto intersoggettivo. Ogni personaggio parla per conto suo, in una sorta di monologo multiplo, costituito dall’intersecazione dei vari livelli di soliloqui dei singoli personaggi.
R. Alonge
CONCLUSIONI
Diffusosi rapidamente in Europa, grazie al clima del dopoguerra:
Il Dadaismo è morto come muoiono tutti i negativi: della propria negazione.
R. Hodin
Nel senso che il nichilismo che lo animava, per la sua stessa logica, non ammetteva sviluppi, era nel contempo l’inizio e la fine. Lo stesso Tzara qualche decennio dopo scriverà:
La tabula rasa da noi scelta come principio direttivo della nostra attività non aveva valore se non nella misura in cui un’altra cosa l’avrebbe sostituita.
Tristan Tzara
Ma quest’altra cosa non poteva derivare dal dadaismo: sarebbe stato il surrealismo a realizzarla.