Nato nel 1888 a St. Louis, negli Stati Uniti, Thomas Stearns Eliot nella sua formazione ha fuso la lezione di certi autori del rinascimento americano (da Melville a Emerson a Hawtorne) allo studio della poetica inglese (i poeti metafisici e soprattutto John Donne), ai contatti con gli ambienti culturali inglesi e all’interesse per la poesia di Dante e dei simbolisti francesi.
Dopo aver completato i suoi studi ad Harvard, nel 1915 si stabilisce a Londra, dove vive fino al 1965, anno della morte. Svolta fondamentale del suo itinerario umano e poetico è la conquista della fede. Convertendosi all’anglicanesimo, ottiene la cittadinanza inglese nel 1927. Nel 1948 è insignito del premio Nobel.
CANONI DI POETICA
La poesia di Eliot si presenta nel panorama contemporaneo (e non soltanto inglese) con caratteri di assoluta e per così dire “imbarazzante” novità. Scrive a tal proposito il critico inglese D.Daiches:
Il ripudio delle immagini convenzionalmente “poetiche”, la particolare strutturazione dei poemetti (immagini simboliche, incidenti narrativi, frammenti di memorie e di conversazione si susseguono senza che il poeta si preoccupi mai di collegarli con nessi esplicativi che diminuirebbero la forza d’urto della rivelazione semantica), il carattere “sorprendente” dei componimenti, ottenuto attraverso immagini inaspettate e improvvise “cadute” poetiche, l’eliminazione di ogni traccia di autocommiserazione attraverso l’ironia e il rifiuto del poeta di porsi come protagonista dell’opera (egli infatti parla soltanto attraverso la maschera di una figura immaginaria) – l’insieme di tutti questi elementi diede vita a uno stile nuovo nella poesia inglese.
D. Daiches
Anche se il giudizio citato fa soprattutto riferimento alle prime opere, queste caratteristiche non scompaiono del tutto nella produzione posteriore di Eliot, nella quale si accentua però una disposizione di fondo del suo poetare, quella cioé a concepire la poesia come “vivente unità di tutte le poesie che siano mai state scritte”, secondo quanto egli dichiara nel suo fondamentale saggio del 1919 Tradizione e ingegno individuale. Poetare significa quindi inserirsi in un continuum, in un flusso millenario con la coscienza di essere un momento di questo flusso e con la legittimità di attingere ad esso (e quindi le citazioni) e di continuarlo. E aggiunge poi che:
A chiunque voglia continuare ad essere poeta oltre i suoi venticinque anni è indispensabile il senso storico, ossia il rapporto con i poeti e gli artisti morti.
Thomas Stearns Eliot
TECNICA CITAZIONISTICA
Questa affermazione significa la legittimazione del ricorso continuo a riferimenti e citazioni dei poeti più diversi e più lontani, in una utilizzazione/creazione che nasce sempre da un complesso sostrato culturale, e che comporta anche frequentemente l’oscurità del testo eliotiano, dato che i precedenti poetici cui attinge appartengono ad aree culturali specialistiche e preziose.
La tecnica citazionista, peraltro, si lega a una precisa scelta di Eliot: il ripudio di ogni soggettivismo o di ogni cedimento al sublime romantico, la necessità di una mediazione o di un filtro che separi urgenza biografica e creazione poetica. Illuminante in tal senso la sua dichiarazione:
Più completo sarà l’artista, più completamente separati saranno in lui l’uomo che soffre e la mente che crea
Thomas Stearns Eliot
e in questa esigenza Eliot si inseriva in una linea di tendenza della poesia moderna che va dall’oggettivazione simbolica di Mallarmé al lucido e freddo intellettualismo di Paul Valéry.
All’interno di questa poetica si spiega il procedimento del cosiddetto “correlativo oggettivo”, una particolare tecnica espressiva consistente nel trasporre pensieri, giudizi di valore o modi di sentire in un’immagine, in un riferimento reale, paesistico od oggettuale, che abbia elementi tali da richiamarli oppure suggerirli implicitamente, evitando in tal modo l’effusione sentimentale o l’abbandono oratorio.
LA PRODUZIONE
Passando ora dai canoni di poetica alla produzione di Eliot, possiamo qui limitarci solo a qualche rapido accenno. La lucida constatazione dell’aridità di un mondo giudicato e sentito come privo di senso e di valori, anima la sua prima maniera. Tuttavia, qua e là non è difficile cogliere un’inquietudine che non si rassegna a quell’inesorabile giudizio e lo incrina, sia pure per un momento. Appartengono a questa sua prima fase:
- Prufrock e altre osservazioni, 1917;
- Gerontion, 1920;
- La terra desolata, 1922.
Emerge da questi testi il quadro di una società priva della benché minima motivazione ideale, torpida e limacciosa, alienata in occupazioni e gesti ormai meccanici. Gerontion (“il vecchietto”) è da considerare uno degli esiti più alti di questa produzione. Rappresentazione della desolata condizione di chi ha vissuto, ha sperimentato e giunto alla fine della vita ne sente il peso e la vanità.
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Nel 1927 Eliot abbraccia la religione anglicana e inizia la sua produzione di “convertito”, centrata – attraverso un complesso ricorso a Dante, ai profeti e ai testi mistici e liturgigi, in accordo coi canoni di poetica già enunciati – sull’itinerario dell’uomo che faticosamente passa dalll’esilio dal regno di Dio e dalla disperazione all’attesa penitenziale, alla speranza del nuovo Avvento.
In un altra lirica famosa, Il canto di Simeone, ritorna la stessa situazione di Gerontion.
Sono stanco della mia vita e di quella di coloro che verranno.
ma con la prospettiva della “salvezza”: una fine illuminata dalla fede. Si tratta però di una fede quale un poeta dei nostri tempi e della nostra “terra desolata” può concepire: problematica e alientata da slanci mistici, come scrive Eliot:
Il demone del dubbio è inseparabile dallo spirito della fede.
Thomas Stearns Eliot
Tuttavia è solo attraverso essa che l’informe caos di gesti e di immagini spezzate, prima sentito dal poeta come testimonianza di morire, può essere riscattato dalla sua effimera fenomenicità e assumere significato in una prospettiva che leghi il transeunte all’eterno. Di questa seconda fase della produzione di Eliot vanno ricordati l’opera teatrale Assassinio nella cattedrale (1935) e i Quattro quartetti (1936-1942). Questi ultimi sono considerati, da molta critica, il punto più alto della poesia eliotiana.