L’anno scorso ho passato un bellissimo Capodanno a casa di amici. Ho mangiato bene, bevuto a sufficienza, e infine partecipato a un’emozionante tombola dove ho avuto “più cul che giudizio”, come si usa dire dalle mie parti. Insomma, ho vinto parecchio! Tra le conquiste, anche questo libro, La Vedova di Fiona Barton, che ho appena finito di leggere e di cui mi appresto a parlare.

LA VEDOVA DI FIONA BARTON

Lo hanno visto tutti, il mostro, sbattuto in tv e sulle prime pagine dei giornali. Era accusato di un crimine raccapricciante, ma adesso che è morto, la verità finirà sepolta con lui. A meno che Jean, la vedova, la moglie devota che gli è sempre stata a fianco in tribunale, non si decida a parlare. A meno che Jean alla fine non decida di raccontare la sua storia.

Sinossi

Questo romanzo rientra nel grande calderone dei “Mi è piaciuto ma”, perché va detto che aveva del potenziale per essere molto di più. L’autrice a mio avviso non ha sfruttato il potenziale che questo genere di libri/trame offrono, scegliendo uno stile che ha ammazzato di brutto l’azione, il ritmo.

L’USO DEI POV

I responsabili dell’omicidio – del ritmo – sono loro: i POV. Punti di vista, per chi non conoscesse l’acronimo. Il libro alterna, capitolo dopo capitolo, il punto di vista dell’ispettore con quello della vedova del PRESUNTO rapitore. Il libro si svolge per un buon 90% in un flashback che dove il lettore vive il passato della vedova e dell’ispettore. Ovviamente la vedova si chiama così perché il marito, accusato di aver rapito una bambina e di essere dunque un pedofilo, nel frattempo è stato accidentalmente stirato e stecchito da un autobus. E anche questo mi dà un fastidio ENORME.

Diciamocelo, tutti amiamo la giustizia. In un giallo poliziesco, non c’è niente di più soddisfacente di vedere il cattivo essere consegnato alla giustizia. Dunque perché dovrebbe darmi soddisfazione leggere un libro dove il più grande indiziato è già morto? Non lo so, dimmelo tu Fiona mia.

Comunque, torniamo al punto principale: il POV uccide il ritmo. Zero azione. E su questo c’è poco altro da dire.

ASPETTO POSITIVO: TANTA INTROSPEZIONE

Ha dei difetti ma anche dei punti a favore, altrimenti vi assicuro che non l’avrei finito. La Vedova di Fiona Barton è un ottimo esempio di introspezione letteraria. I personaggi, anche grazie a questo ritmo da funerale, vengono approfonditi in ogni minimo dettaglio, hanno una forte identità e modi di pensare e agire creati alla perfezione.

Il successo sotto questo aspetto si raggiunge quando arrivo a simpatizzare sia con la parte cattiva della storia, sia con quella buona. Entrambi hanno le loro ragioni, le ascolto e le comprendo – mettendoci una buona dose di empatia capiamoci – ma lo capisco perché l’autrice mi permette di farlo. Sotto questo punto di vista, nulla da dire. GOOD JOB.

LO CONSIGLIERESTI?

Mi dispiace Fiona, ma per me è no. Non lo consiglio, a meno che tu, futuro lettore, non preferisca il turbinio psicologico di emozioni all’azione poliziesca. Il cuore, lo scopo della sinossi, per tutto il libro appare una cosa irrilevante, e questo non va bene.