Tra i poeti di questo periodo, Gozzano è certo il maggiore il maggiore per gli esiti poetici raggiunti. La sua breve vicenda autobiografica (Torino 1883-1916) si localizza tra Torino e la villa di Agliè. Due sono gli episodi fondamentali:

  • La relazione con Amalia Guglielminetti (1907-1909), poetessa di larga notorietà al tempo;
  • L’insorgere della tisi, che lo condusse alla morte.

Alla malattia è collegato (febbraio-aprile 1912) un viaggio in Oriente intrapreso con la speranza di una guarigione, non disgiunta però da una triste consapevolezza dell’inevitabile fine.

Viaggio per fuggire altro viaggio.

Gozzano

CONSAPEVOLE IRONIA

Gli esordi di Gozzano sono dannunziani: nel dicembre 1903 scrive una Laus matris (“dannunzianissima” la definisce Sanguineti). Ma qualche anno dopo – qui va collocata l’influenza di poeti stranieri – già trova toni e moduli originali. In un componimento (L’altro, 1907) il poeta ringrazia Dio.

Avrebbe potuto, invece che farmi Gozzano / un po’ scimunito ma greggio / farmi gabrieldannunziano / sarebbe stato ben peggio!

Gozzano

Qui appare chiaro cosa contraddistingue Gozzano dai suoi colleghi, ovvero la consapevolezza ironica. Se è vero che in lui si trovano luoghi comuni alla poesia crepuscolare, è altrettanto vero che su tutto questo armamentario il poeta proietta una luce ironica. Non è altro che la trascrizione, la dimostrazione sul piano poetico della sua mancata adesione sentimentale a questo mondo. Mondo creato e accarezzato ma nel contempo dissolto, visto in controluce con la con la consapevolezza che a quel mondo, a quel rifugio di ingenuità provinciale il poeta non sa e non può aderire.

Gli ospedali, gli organetti, i giardini chiusi, le belle solitarie, i conventi vanno appunto intesi non come un generico fondale coloristico e musicale, ma con valore simbolico; non come luoghi e momenti ideali di un’anima tutta raccolta e reclinata

L. Baldacci riguardo le immagini tipiche dei crepuscolari

Questo è esatto per tutti gli altri, ma non per Gozzano. Lui dissolve la mitologia dannunziana contrapponendo alla vita inimitabile la mediocrità piccolo-borghese o provinciale, utilizzando immagini e situazioni tipiche della scuola crepuscolare. a questo mondo scelto in funzione anti-dannunziana aderisce solo fino a un certo punto: il suo è un difficile equilibrio tra rievocazione e sorriso, tra affetto e ironia. Ed è significativo che, subito dopo essersi atteggiato di fronte a quel mondo come un “buono sentimentale giovine romantico”, aggiunga:

Quello che fingo di essere e non sono.

Gozzano

In questo senso – cioè nell’incapacità di accettare l’umbratile rifugio che pur appagava gli altri crepuscolari – l’incapacità di vivere di Gozzano è ancora più profonda e testimonia in modo più esemplare la crisi del tempo.

GOZZANO – COLLA IL MITO DEL POETA

La prospettiva ironica costantemente presente nell’opera di Gozzano finisce con l’investire la funzione stessa del poetare. L’idea di gloria poetica e di poeta vate che proprio in quegli anni d’Annunzio ancora alimentava sono ora sottoposte a un inclemente revisione e riduzione. Sono cioè smitizzate e private di quell’alone di eccezionalità e quasi sacralità che avevano avuto.

Da questo punto di vista, Gozzano apre un nuovo capitolo nella poesia italiana, fa piazza pulita di tutto un modo di concepire la poesia e inaugura una stagione nella quale il poeta sarà il primo a dichiarare la precarietà della poesia. Fa piazza pulita di tutto un modo di concepire la poesia e inaugura una stagione nella quale il poeta sarà il primo a dichiarare la precarietà della poesia, la sua incapacità di comunicare messaggi definitivi.

Ma oltre che per questa nuova concezione della poesia, l’importanza di Gozzano è assai notevole anche sul piano formale:

Egli è il primo che abbia dato scintille facendo cozzare l’aulico col prosaico.

Montale

Con sorridente e ironico virtuosismo riesce a far rimare “Nietzche” con “camicie”. Realizza moduli stilistici, apparentemente colloquiali e prosastici, ma in realtà raffinati. Ribalta la tecnica dannunziana e apre la strada a toni che avranno sviluppi nella migliore poesia del Novecento. E non è senza significato la simpatia critica espressa da Montale nei suoi riguardi.