La produzione di Thomas Mann si snoda lungo mezzo secolo. Il suo primo romanzo, “I BuddenBrook“, è del 1900 mentre l’ultimo, le “Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull“, è del 1954. L’autore parte dal Decadentismo e approda, attraverso un lungo processo, al suo superamento. Mann è stato una delle voci più alte della Germania antinazista, che ai miti della violenza ha opposto la lezione di Goethe, i valori della ragione e della tradizione democratico liberale.

LA VITA E I LIBRI

Thomas Mann nacque a Lubecca nel 1875 da una famiglia di borghesia commerciale. Inizialmente la famiglia era ricca e parte attiva in politica; in seguito, a causa di difficoltà economiche, liquidò la società e si trasferì a Monaco. Mann non ebbe comunque mai alcun intralcio per quanto riguarda studi, viaggi e attività creative. I momenti fondamentali della sua vita si possono riassumere così:

  • Esaltazione della guerra in occasione del primo conflitto mondiale;
  • Svolta successiva e presa di posizione democratica;
  • Premio Nobel nel 1929;
  • Opposizione a Hitler e abbandono della Germania nel 1933;
  • Ritorno in Germania nel 1952 e morte a Zurigo nel 1955.

Tra le sue opere più importanti, oltre a quelle citate in apertura, vanno ricordate “Tristano” 1902, “Tonio Kroger” 1903, “La morte a Venezia” 1911, “La Montagna Incantata” 1924, la tetralogia “Giuseppe e i suoi fratelli” 1933-43, “Doctor Faustus” 1947. A questo va aggiunta una vastissima serie di saggi e discorsi, come i radiomessaggi trasmessi dalla BBC nel 1942 per gli ascoltatori tedeschi (ora in “Scritti storici e politici”, Milano 1957).

I BUDDENBROOK E LE VIRTÙ BORGHESI

Già con il suo primo romanzo, Thomas Mann ottiene l’attenzione di un pubblico europeo. Scritto con moduli narrativi rientranti nella narrazione realistica, il romanzo contiene un motivo di fondo dell’arte di Mann: un dissidio, una posizione conflittuale rispetto al mondo borghese rappresentato. Mann lo vede come un universo pieno di limiti, molto instabile (questo è dovuto al passato della sua famiglia). La storia dei Buddenbrook è una storia di decadenza, di disfacimento degli antichi valori che però è anche nuova sendibilità, affinamento: si spiega l’attenzione per i conflitti interiori dell’ultimo Buddenbrook, il giovane Hanno, nel quale questo nuovo sentire si impersona. Si spiega anche il fascino della morte che Mann sente ed esprime in pagine mirabili dedicate via via al finire dei personaggi.

Due osservazioni conclusive si possono qui proporre:

PRIMO: nel romanzo, Mann trascriveva indubbiamente una larga parte della propria biografia umana e intellettuale. Da un lato, la vicenda della sua famiglia; dall’altro la sua esperienza di intellettuale di fine secolo che accoglieva le suggestioni del Decadentismo e si estraniava dal mondo dei padri. Ma questo estraniarsi non era certo privo di dolorose lacerazioni. La polemica dei decadenti (Huysmans, Wilde, D’annunzio) era improntata a un aristocratico disprezzo, mentre Thomas Mann sente l’equilibrio del mondo dei padri come un mondo che valori che non può condividere ma nemmeno disprezzare. Nel rappresentarne la fine, ci può essere spazio per la malinconica elegia o per la poesia della morte, ma non per il disprezzo.

SECONDO: il successo del libro è dovuto anche al fatto che esso stesso non è solo il viaggio personale di Mann, ma anche un paradigma di storia europea. Mann, con molta modestia, se ne confessò sorpreso:

Neppure in sogno i passò per la testa che da questa storia della decadenza di una famiglia si sarebbe sentita toccata e colpita la borghesia di altri paesi e avrebbe potuto riconoscervisi; che, per tutto dire in breve, mentre avevo dato un libro molto tedesco, quanto a forma o contenuto, nello stesso tempo avevo dato un libro europeo, un brano della storia dell’anima della borghesia europea.

Thomas Mann

LA MALATTIA: FASCINO E GIUDIZIO

Dopo I Buddenbrook, il lavoro di Mann sarà volto completamente ad approfondire questo tema, ossia il rapporto ambiguo con i valori borghesi. I suoi personaggi saranno sempre più dei tipi estraniati da quel mondo e attratti dall’avventura spirituale, dalla “malattia” in senso molto lato. Malattia che è la premessa dell’arte, anzi si identifica quasi sempre come l’arte: dei tre racconti successivi al romanzo – Tristano, Tonio Kroger e Morte a Venezia – sono infatti protagonisti tre artisti. Ma come si configura il rapporto tra “malattia” e vita? Fra diversità dell’artista e vita con i suoi prosaici valori?

TRISTANO: il conflitto tra arte e vita viene esemplificato nella lotta che un borghese e un raffinato esteta, Spinelli, impegnano intorno a una donna. Non dico come si conclude il racconto, ma posso dirvi che Mann dichiara di aver riassunto in Spinelli: “Tutti i lati negativi dell’esteta di moda agli inizi del secolo”.

TONIO KROGER: il protagonista è lucidamente consapevole dell’identità tra malattia e arte. Questa coscienza di essere diverso e segnato è però sentita come condanna e il senso del racconto, che a molta critica sembra una delle cose migliori di Mann, è proprio nella seguente affermazione:

Se qualcosa è realmente in grado di fare di un letterato un poeta è appunto questo borghese amore per l’umano e il vivo e l’ordinario.

Thomas Mann

MORTE A VENEZIA: l’opera è una commistione di bellezza e morte, di miti classici inseriti nel contesto di una città splendida e pure insidiata dal colera. Il protagonista, Gustav Aschenbach, è un mito di bellezza che proprio nella malattia incapperà, non riuscendo a schivare il giudizio dell’autore.

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Thomas Mann è pervenuto proprio a denunciare quale prezzo di sofferenza e di sconfitta comporti in ultima analisi il dissidio tra arte e vita, l’aristocratico compiacimento della diversità e della malattia: il privilegio della diversità si paga con l’estraniamento e la solitudine, non disgiunta ora da una nostalgia di normalità, di vita. Ed è alla luce di questo approdo che va vista la sua posizione – altrimenti incomprensibile – di fronte alla prima guerra mondiale. Contro lo spirito, la complicazione, la civilizzazione egli opta per la spontaneità, per la barbarie (inteso come ciò che di istintivo e di riscatto dall’intellettualismo c’è in essa).

IL RECUPERO DELLA RAGIONE

Una tappa fondamentale dell’itinerario di Mann è rappresentato da “La Montagna incantata” (1924). Mann definì quest’opera:

Un ideale congedo da molte pericolose simpatie e seduzioni e incantesimi da cui l’Europa era ancora pervasa.

Thomas Mann

Si tratta di un’opera molto complessa, che per le perenni discussioni dei protagonisti finisce per diventare quasi un saggio, una summa dei problemi e del dibattito ideologico a inizio Novecento. Seguendo questa strada, l’autore arriverà a un impegno sempre più concreto e negli anni della trionfante follia nazista la sua voce si leverà, con una vastissima eco, a difesa dei valori della migliore tradizione democratica e umanistica dell’Europa.

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In questa dimensione va inscritta un’altra fondamentale opera di Mann, ossia il “Doctor Faustus (1947).

DOCTOR FAUSTUS

La vicenda del protagonista Adrian Leverkuhn è narrata nel romanzo dall’amico Serenus Zeitbloom. Adrian, un giovane musicista, ha incontrato una prostituta alla quale, malgrado i di lei ammonimenti, si è unito: ha contratto così una terribile malattia che lo distruggerà lentamente ma nel contempo gli consentirà momenti di straordinaria eccitazione creativa. Venuto in Italia, a Palestrina, Adrian incontra – reale apparizione o allucinazione della sua eccitata fantasia – sotto le spoglie di un distinto signore, il diavolo che gli propone un patto: qualche decennio di intensa attività creativa – una musica straordinariamente originale – un cambio della rinuncia a ogni affetto, dell’assoluta aridità sentimentale e umana. Adriana accetta e realizza un’opera di potente novità. Alla fine, però, proprio mentre la esegue di fronte a una cerchia di intenditori che ha convocato appositamente, crolla e confessa il suo terribile segreto. Come finirà?

In quest’opera ritorna un vecchio mito caro a Mann – l’artista diverso dalla normale umanità, il rapporto tra malattia e arte – ma due osservazioni sono essenziali:

PRIMO: il cronista Zeitbloom registra la vicenda di Leverkuhn con l’orrore dell’uomo normale e quindi con un implicito giudizio, che nella conclusione sarà espresso a piene lettere, di condanna di questa demoniaca avventura intellettuale. Condanna che riprende l’opera precedente, in un percorso di “recupero della ragione”.

SECONDO: Il protagonista è un ritratto della Germania nella seconda guerra mondiale, tanto grandiosa quanto tragica, frutto di una superbia destinata a risultare fatale.

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CONCLUSIONI

Su quest’opera conviene concludere questo breve profilo di Thomas Mann perché, anche se sul piano artistico non è la più valida, essa sintetizza quasi il significato che nella cultura del secolo ha avuto questo scrittore. Egli ha accolto i temi di fondo del decadentismo ma, con un dibattito e una interiore ricerca durata una vita, li ha sottoposti a un riesame, ha dato alla trascrizione della propria biografia intellettuale e umana una significazione universale; ha contribuito a esorcizzare col fascino della creazione artistica e del dominio intellettuale i mostri del mondo moderno.