Dalla crisi della “Voce” ai tempi della guerra di Libia nasce la rivista “L’Unità”. Il suo fondatore e direttore, Gaetano Salvemini (1873-1957) è una delle personalità più notevoli della cultura italiana del Novecento: studioso dei problemi del meridione, inclemente avversario – di parte democratica – di Giolitti; insigne maestro di metodo storico e di impegno civile all’università di Firenze, fuoruscito in conseguenza del fascismo (di grande interesse le sue “Memorie di un fuoruscito).
LA FONDAZIONE
Abbandonata “La Voce” come già detto nel 1911 per un’esigenza politica, Salvemini fonda la rivista L’Unità. Il primo numero esce il 16 dicembre 1911. Egli impegna una battaglia su problemi politici e sociali all’insegna della concretezza, denunciando le ambiguità dell’impresa tripolina, evidenziando le insufficienze della democrazia italiana e polemizzando con il nazionalismo.
LA RIVISTA NEL DETTAGLIO
L’Unità si distingue nel panorama delle riviste analizzate in altri articoli per il suo risentito tono di protesta, di denuncia morale. Si manifestano le caratteristiche di fondo di Salvemini, che:
Non solo fu un dottrinario ma si attribuì puntigliosamente per tutta la vita la parte di colui che è venuto a combattere le fumose astrazioni dei politici da tavolino. La passione dell’intellettuale piccolo borghese di fare bei discorsi teorici che non cavano un ragno dal buco, la vocazione tutta italica di creare castelli in aria e lasciare le cose come sono.
L’ammaestramento de L’Unità fu e rimane sostanzialmente un ammaestramento di metodo e costume. Più problemi che sistemi, più cose che teorie. Contro le falsificazioni della propaganda, rispetto della verità; contro ogni forma di fanatismo, senso di responsabilità. Guardare più ai risultati che alle buone intenzioni; meno ideologie, più documenti.
N. Bobbio
Non è questa la sede per un esame dell’opera di Salvemini, che non si riduce soltanto alla rivista “L’Unità”. Si può solo sottolineare che nel complesso – e pur con qualche riserva su certe posizioni – la battaglia di Salvemini, dalle iniziali posizioni socialiste a quelle radicaldemocratiche, si è svolta su due piani. Uno di metodo e l’altro di costume, che poi finiscono per diventare una cosa sola. Quale? La battaglia metodologica per la concretezza, per un sano empirismo politico diventa tensione etico civile, impegno morale contro la retorica, contro i dogmatismi ideologici di destra e sinistra.
Nell’Italia del primo Novecento, dannunziana e nazionalista, Salvemini è certo un isolato e tuttavia bisogna partire da lui per capire i vari Gobetti e Rosselli.