Franz Kafka è uno degli artisti più discussi del nostro secolo. Le sue opere, allusive e simboliche, non cessano di prestarsi a contrastanti interpretazioni e valutazioni. Ma proprio per questo, esse sono motivo di perenne attualità e di profonda suggestione.

FRANZ KAFKA: VITA E LIBRI

Nasce a Praga nel 1883 da padre israelita e trova un ambiente culturale estremamente vivace in questa città, dove da secoli si scontravano tre culture: quella slava (ceca) quella tedesca e quella ebraica. Kafka studia in una scuola umanistica e in una università tedesca, ma si interessa molto della musica ebraica. Infatti, deriva da ciò quella componente di disperazione religiosa per il “silenzio di Dio” nella vita dell’uomo, che è fondamentale nella sua opera.

Al di là della grigia vita da impiegato, spicca l’attività creativa (la raccolta di prose “Contemplazioni” nel 1913) e l’intensa e tormentata vita sentimentale.

  • Un fidanzamento sciolto e ripreso attorno al 1914;
  • la relazione, nel 20-21, risoltasi anch’essa con una rinuncia, con una scrittrice ceca (le varie fasi sono testimoniate nelle “Lettere a Milena”;
  • Nel 1923 sfiorò l’amore sereno con Dora Dymant che lo riempì di speranza; tuttavia, per l’aggravarsi della tubercolosi, fu costretto a entrare in sanatorio dove morì nel 1924.

Insoddisfatto dei suoi scritti, Kafka pubblicò solo qualche raccolta di prose e nel 1916 il racconto “La metamorfosi”. La maggior parte delle sue opere – Il processo, Il castello, America, I diari – è stata pubblicata postuma a cura dell’amico Max Brod, cui peraltro l’autore aveva raccomandato di distruggere tutto.

I ROMANZI

Anche se nei racconti si possono trovare pagine estremamente significative (La Tana, Colonia penale, La Metamorfosi) mi soffermerò qui su due romanzi.

IL PROCESSO – Riassunto

Nell’appartamento di Joseph K., il protagonista (uno scrupoloso impiegato) si presentano due poliziotti con un ordine di comparizione per un delitto non precisato. K. si trova così coinvolto in un processo senza sapere perché – con uno zelo che si traduce poi nell’atteggiamento preoccupato del colpevole – ad accelerare la causa. Ricorre a un famoso avvocato: questo gli spiega che tali processi vengono risolti con sistemi extragiudiziari, come corruzioni e intrighi. K. non cessa comunque di cercare una via di fuga legale, anche se la macchina burocratica lo sta schiacciando. Il processo gli toglie giorni e notti e si sente sempre più solo e accusato. Crede che tutti – al caffè, in ufficio, per le vie, siano al corrente di quel processo: nei loro occhi K. legge l’ironia o la condanna.

Oppresso da questa condizione, K. si rende conto che al processo non si sfugge. Un potere sinistro e inconoscibile ha già deciso che la morte è l’unica via da ancora prima che nascesse. Poi c’è il finale, ma questo non ve lo rovino

IL CASTELLO – Riassunto

Un agrimensore, K., giunge in un villaggio governato da un conte che trascorre la sua vita in un castello. Dall’alto della collina dov’è costruito, il castello incombe sul territorio circostante. Al desiderio dell’agrimensore di lavorare in quelle terre, difficoltà insormontabili si oppongono: il castello è la sede di una mostruosa burocrazia, ordinata con una complicata e inesorabile gerarchia, che amministra il villaggio con un groviglio di leggi contrarie alla morale e alla logica. Tuttavia, gli abitanti le accettano e se ne fanno scudo, quasi, per respingere nell’isolamento il nuovo venuto. Eppure K. non desiste, si attacca a qualsiasi espediente per superare questa condizione e penetrare, “comunicare” con il mondo del castello. Per realizzare il suo piano riesce a sedurre Frieda, ma poi viene da lei abbandonato. Proprio quella notte, K. entra casualmente in un albergo dove i signori del castello alloggiano quando scendono al villaggio: cosa succederà? Per scoprirlo, vi invito a leggere il romanzo.

REALISMO E SIMBOLO

Non vi ho svelato i finali perché non ne avevo bisogno. Basta la trama a grandi linee per poter analizzare le tematiche di Kafka. Il primo dato che spicca all’occhio di chi legge è la precisione, anzi l’attenzione con cui egli descrive la realtà. Persone, oggetti e ambienti sono rappresentati con estremo realismo. Eppure, i risvolti dei suoi romanzi sono tutt’altro che realistici, quasi metafisici. Leggere Kafka è come vivere un sogno: sembra tutto incredibilmente reale, eppure si ha sempre la lucida sensazione di vivere un sogno. Un po’ come i pittori surrealisti, che non rinunciano alla pittura realistica ma la utilizzano per conferire agli oggetti un’aura stregata e inquietante. Orson Welles ha reso mirabilmente questo clima nella sua trascrizione cinematografica de “Il Processo” del 1962. È quello che può capitare a tutti noi quando, osservando un oggetto a lungo o ripetendo tante volte una parola, ci sembra che perdano il classico significato.

INCOMPRENSIBILITÀ DELLA LEGGE

A Kafka appare incomprensibile e assurda la vicenda dell’uomo. Egli è dominato certamente da una legge, ma il fatto che egli non riesca a conosca rende il tutto assurdo e tragico. Questo fu il costante cruccio di Kafka, che nei diari scriveva

Non sono la pigrizia, la cattiva volontà, la goffaggine che mi fanno fallire o non fallire in tutto: vita familiare, amicizia, matrimonio, professione, letteratura. È l’assenza del suolo, dell’aria, della legge. Crearmi queste cose, ecco il mio compito… Il compito più originale.

Franz Kafka

L’uomo cerca per tutta la sua vita di comprendere la legge, ma fallisce sempre. Il Processo e Il castello sono due opere emblematiche a riguardo.

Da queste incomprensibilità si snodano tutti i temi di Franz Kafka: la solitudine dell’uomo, l’impossibilità di stabilire un rapporto con il mondo che lo circonda; l’impossibilità di realizzarsi in una dimensione di autenticità; la consapevolezza di essere un “escluso”, o straniero, tema che ritornerà con Camus; il senso di essere oggetto di una determinazione di cui ignora i fini. La sua alienazione.

AUTOBIOGRAFIA E STORIA

È però evidente che nelle sue pagine Kafka ha voluto trascrivere condizioni storiche precise. L’incombere del potere austro-ungarico, lontano e pur onnipresente, su nazionalità e minoranze oppresse; l’elefantiasi burocratica della società moderna che annienta nei suoi ingranaggi le vocazioni del singolo; il margine sempre più esile di possibilità di salvezza lasciato da questa (o da ogni?) società all’uomo. Ritornava cioè in Kafka quel motivo del “disagio della civiltà” che parte dai decadenti e, dilatato dall’analisi fattane da Freud, è tanta parte dell’arte contemporanea.

Franz Kafka è, in un certo senso, giudice e profeta di tutta la prima metà del XX secolo dell’occidente europeo.

Citazione di Fortini

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