Nel panorama della poesia novecentesca, Vladimir Majakovskij ha utilizzato i moduli espressivi delle avanguardie per realizzare una produzione che riscatta quanto di arbitrario c’era nella poetica. La sua novità formale trae legittimazione dal legame tra poeta e momento rivoluzionario dove egli, con entusiastica adesione, è calato.

VLADIMIR MAJAKOVSKIJ: VITA IN BREVE

Nato nel 1894 a Kutais in Georgia, studia disordinatamente. Nel 1908 è arrestato come militante di un gruppo di sinistra; nel 1912 è tra i principali esponenti del futurismo russo. Aderisce con entusiasmo nel 1917 alla rivoluzione di ottobre; tra le opere più significative di questo periodo vanno ricordate:

  • Mistero Buffo (1918),
  • 150.000.000 (1920),
  • Lenin (1924)

Nel 1923 fonda il LEF (fronte di sinistra delle arti) come strumento della sua rivoluzione culturale.

Viaggia per un paio d’anni (1924-1925) in Europa e negli Stati Uniti. Ritornato in Russia, con la progressiva burocratizzazione voluta da Stalin ha vita difficile. Polemizza con gli ambienti culturali ufficiali ed è costretto a sciogliere il LEF; si aggiungono a ciò deludenti esperienze amorose. Nell’aprile del 1930 si suicida.

GLI ESORDI FUTURISTI

Come detto, Vladimir Majakovskij inizia la sua attività poetica come futurista. Nel manifesto collettivo del 1912, Schiaffo al gusto del pubblico, egli dichiara:

A chi ci legge il nuovo, il primigenio, l’imprevisto. Soltanto noi siamo il volto del nostro tempo. Il corno del tempo risuona nella nostra arte verbale. Il passato è angusto. L’accademia e Puskin sono più incomprensibili dei geroglifici. Gettare Puskin, Dostojevkij, Tolstoj ecc. dalla nave del nostro tempo.

Vladimir Majakovskij

Tutta la sua attività rimarrà coerente con l’iniziale posizione tesa al rinnovamento. Tuttavia, con il passare del tempo assume connotati molto personali e approfonditi, sua sul canone della poetica che su quello della poesia.

FUTURISMO E RIVOLUZIONE

Lo scoppio della guerra porta a galla le differenze tra Majakovskij e il futurismo italiano.

  1. la sua formazione ideologica e la militanza politica lo ponevano di fronte alla guerra in modo antitetico rispetto ai futuristi italiani. Majakovskij la odia e la condanna totalmente.
  2. Il gioco, il libero arbitrio di parole e immagini che per i futuristi sono il punto di arrivo, per Vladimir sono solo un mezzo; strumenti per realizzare una poesia che morda la realtà e risponda ai problemi della società russa.

Da ciò deriva una produzione il cui significato consiste nel superamento della ricerca formale fine a se stessa propria di tante avanguardia europee, il futurismo italiano anzitutto. Majakovskij utilizza (con un procedimento che ricorda la tecnica del montaggio cinematografico di certo cinema russo di quegli anni) stravolgimenti del dato reale, accostamenti e urti fra toni e situazioni diverse. Il suo intento è rendere, attraverso questa tecnica, il senso di una precisa realtà storica.

IL LEF NEL DIBATTITO CULTURALE

Questa ansia di testimoniare il proprio tempo con assoluta modernità, costante dell’attività di Vladimir Majakovskij, fu anche il problema di fondo del dibattito culturale degli anni immediatamente seguenti la rivoluzione. Un problema assai complesso, che proverò a schematizzare:

PUNTO 1

Majakovskij, dal successo della rivoluzione, trae ulteriore incitamento per la polemica contro l’arte del passato, come già scritto nel manifesto del 1912; a lui e al gruppo futurista si affiancano, almeno in questo intento, gli intellettuali – rivoluzionari intransigenti – di una tra le tante associazioni di quegli anni (il Proletkult). Non solo incitano a “bruciare Raffaello / distruggere i musei e calpestare i fiori dell’arte” ma, andando ben oltre le posizioni di Majakovskij, sostengono che nella linea di demarcazione fra la vecchia e la nuova arte “determinante è il punto di vista classista, la corretta posizione ideologica; ciò si traduce molto spesso nella deterministica considerazione dell’origine sociale dello scrittore, giacché – essi dicono – la nuova poesia può nascere soltanto dall’operaio autodidatta che continua a lavorare in fabbrica o dagli artisti usciti dalla classe operaia.

PUNTO 2

Diversa e ben più articolata è la tesi di Lenin che, muovendo dall’esame della situazione russa, pensa alla realizzazione di una profonda rinnovazione che passi però attraverso un’utilizzazione critica della cultura borghese del passato. Scriveva nel 1919:

Bisogna prendere tutta la cultura che il capitalismo ha lasciato in eredità e con essa edificare il socialismo. Bisogna prendere tutta la scienza, la tecnica, le conoscenze, l’arte. Senza di ciò non potremmo costruire la vita della società comunista.

Lenin

L’anno dopo additava come meta da raggiungere non “l’invenzione di una cultura proletaria” ma “lo sviluppo dei migliori esempi, tradizioni, risultati di concezione marxista”.

Fin quando Lenin fu al potere, nessuna delle organizzazioni culturali esistenti fu considerata depositaria di una linea ufficiale. Nel frattempo, la lotta fra di esse assumeva via via sempre maggiore virulenza e ci si avviava verso una burocratizzazione della politica culturale. Nel 1923 Majakovskij fonda il Fronte di sinistra delle arti (LEF) ed è significativo che, presentando il programma, egli si scagli:

contro chi alla poesia delle casette [sentimentale, piccolo borghese] ha sostituito la poesia dei comitati di caseggiato [populistica, rozzamente partitica]Vladimir Majakovskij

E intanto in certi suoi componimenti, come “La Mania delle riunioni” o “Critica dell’autocritica” (1928), Vladimir satireggia l’apparente autocritica che tanti funzionari erano pronti a fare ma come ossequio formale, senza che poi nulla cambiasse; oppure, ne “La Cimice” (1929) egli denuncia la grettezza e l’arrivismo della nuova società.

IL SUICIDIO

Con l’avvento di Stalin (1922) la situazione culturale veniva sempre più orientata verso una linea ufficiale – di cui l’Associazione degli scrittori proletari (RAPP) si avviava a diventare depositaria – e Majakovskij diventava sempre più isolato. Tuttavia, il suo impegno di fedeltà alla rivoluzione non viene mai meno: nel 1930 scioglie il LEF e aderisce al RAPP. Ma due mesi dopo, in una situazione di grande isolamento e depressione – alla quale non erano estranee ragioni sentimentali – conclude con il suicidio la sua vita.

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