La cosa amata – “Madonna” nella poetica cavalleresca – era un ideale di tutta perfezione. Non una o l’altra ma la donna in generale, amata con un sentimento simile all’adorazione e al culto. L’amante era il messere, o il “Meo sere”, che aveva qualche valore solo se amava. Uomo senza amore era uomo senza valore.
Amore è indizio di cuore gentile. Chi ama è cavaliere, ubbidiente alle leggi dell’onore; difensore della giustizia, protettore dei deboli, umile servo o servente dell’amore. Egli soffre volentieri se è volere di Madonna, mentre se è amato è felice ma non se ne vanta. Non si vanta nemmeno delle ricchezze, perché chi è amato è già ricco.
POETICA CAVALLERESCA IN ITALIA
La cavalleria attecchì poco in Italia. Giullari, Trovatori, novellatori, e narratori trovarono poco prestigio presso il popolo che aveva disfato i castelli e si era ordinato in comuni. Vinto Federico Barbarossa e Abbattuta Casa Sveva, le tradizioni monarchiche e feudali perdettero ogni efficacia nella realtà.
Rimasero nella memoria, non come regola nella vita ma come un puro gioco d’immaginazione. Nessuno credeva a quel mondo cavalleresco, nessuno gli dava serietà e valore pratico: era un passatempo dello spirito, non tutta la vita ma un “incidente”, una distrazione. Qui arriva una riflessione bellissima che De Sanctis propone, e che riporto di seguito:
Quando un contenuto non penetra nelle intime latebre della società e rimane nel campo dell’immaginazione, diviene subito frivolo e convenzionale, come la moda, e perde ogni sincerità e serietà.
Francesco De Sanctis
In sostanza sostiene che se un contenuto (che può essere un modo di vestire, parlare, comportarsi) non diventa costume e soprattutto tradizione di una società, allora sarà solamente una moda di passaggio.
Questo fu la poetica cavalleresca in Italia. Niente di nazionale e di originale, nessun moto di fantasia o di sentimento; nessuna varietà di contenuto; una così noiosa uniformità, che risultava difficile distinguere un poeta dall’altro.