Il protagonista di “Non avevo capito niente” è Vincenzo Malinconico, un avvocato napoletano che finge di lavorare per riempire le sue giornate. Divide con altri finti-occupati come lui uno studio arredato con mobili Ikea, chiamati affettuosamente per nome, come fossero persone di famiglia. È stato appena lasciato dalla moglie, ma cerca con ogni mezzo di mantenere un legame con lei e i due figli adolescenti. Un giorno viene improvvisamente nominato difensore d’ufficio di un becchino di camorra detto “Mimmo ‘o burzone” e, arrugginito com’è, deve ripassarsi il Bignami di diritto.

Ma ce la fa, e questo è solo il primo dei piccoli miracoli che gli capitano. Il secondo si chiama Alessandra: la PM più bella del tribunale, che si innamora di lui e inizia a riempirgli la vita e il frigorifero. Intanto Vincenzo riflette sull’amore, la vita, la delinquenza, la musica: su tutto quello che attraversa la sua esistenza e la sua memoria, di deriva in deriva.

LA MIA OPINIONE

Tra pranzi dalle dimensioni inenarrabili e cenoni altrettanto mastodontici, ho terminato la lettura di questo best-seller scritto da Diego De Silva.

Comincio subito dicendo che inizialmente – dopo le prime trenta pagine – stavo quasi per chiuderlo e rinunciare, un crimine penale per un lettore recensore come me. Forse è per questo motivo che ho continuato fino alla fine, o più semplicemente l’ho fatto perché ogni libro che non abbia orrori grammaticali folli merita di essere letto fino in fondo. E non mi sono pentito di avergli dato fiducia. Possiamo proprio dire che inizialmente “Non avevo capito niente“.

Vedete, De Silva è uno di quegli scrittori che ha veramente uno stile proprio, che esce dagli schemi senza rompere le convenzioni grammaticali che reggono la lingua italiana. Diciamo in modo barbaro che “è scritto bene, ma è scritto strano“. Il tutto è incorniciato da una vena pessimistico/comica in grado di farti perdere seriamente i reni, praticamente sono arrivato al punto in cui mi costringevo a leggere per non smettere di ridere.

Tralasciando un’apparente frivolezza, il libro presenta un protagonista veramente interessante: L’avvocato Malinconico (e già qui, quando ho letto il cognome, non potevo crederci) è il classico uomo medio incompiuto, che avrebbe le potenzialità per arrivare al successo ma vive bloccato in un limbo di mediocrità creato da sé stesso. Quando la camorra punta gli occhi su di lui e decide a tutti i costi di assumerlo per risolvere una causa, cogliendo il suo potenziale, questo va in crisi totale. E mentre il filone narrativo procede, il lettore (quello sveglio) ha modo di cogliere una riflessione profonda, offerta dal protagonista alias De Silva:

La camorra è in un certo senso quello che tutti ogni tanto vorremmo essere. Mi spiego: una persona che quando vuole qualcosa se la prende, senza farsi troppi problemi, senza porsi mille domande e relative risposte, risolvendo il problema prima che questo venga banalmente a galla.

Quindi c’è questa contrapposizione, che viaggia a braccetto lungo tutta la narrazione, fino a sciogliersi proprio nel finale. Un capolavoro.

Poi ci sono le riflessioni sulla vita comune, quelle che tanto mi piacciono. Ci si riconosce facilmente, nell’avvocato. La vita con i vicini, i rapporti relazionali, travagliati e sempre complicati; oltre le relazioni, i semplici rapporti con le persone, la difficoltà nascosta in un dialogo dove brulicano opinioni diverse, il rapporto con i figli.

“Non avevo capito niente” mi è piaciuto e lo consiglio vivamente; uno spaccato di vita quotidiana, senza ricami, dove il dettaglio che emerge inaspettatamente è proprio la sensazione di realtà, che spesso nei libri latita pesantemente.