Nel 1926 il successo del fascismo si è ormai consolidato definitivamente: le leggi eccezionali han ridotto al silenzio la stampa d’opposizione, è già iniziato l’esodo dei fuorusciti, Gobetti è morto esule a Parigi. La battaglia de “Il Baretti” per un manifesto impegno della letteratura in senso civile è ormai perduta, anche se la rivista durerà ancora per due anni. Ma l’insegnamento di Gobetti non è passato invano: nel gennaio del 1926 inizia le pubblicazioni a Firenze il mensile “Solaria” fondato dal ventenne Alberto Carocci. In seguito sarà affiancato prima da Giansiro Ferrata (1929-1930), poi da Alessandro Bonsanti (1931-33). Durerà fino al 1936.

Solaria ebbe senza dubbio l’ambizione di raccogliere il meglio della cultura borghese, operando una sintesi attiva tra le antiche istanze dell’europeismo barettiano e il rigore letterario di impostazione rondiana.

Luti

Nel primo numero, inoltre, si leggeva:

Non siamo idolatri di stilismi e purismi esagerati. Se tra noi qualcuno sacrifica il bel ritmo di una frase e magari la proprietà del linguaggio nel tentativo di dar fiato a un’arte singolarmente drammatica e umana gli perdoniamo in anticipo con passione. Per noi insomma Dostoevskij è un grande scrittore. Ma non perdoneremo nemmeno ai fraterni ospiti le licenze che non siano pienamente giustificate, e in questo ci sentiamo rondeschi.

Solaria, I° numero

Dichiarazione, questa, che ci permette di individuare alcune caratteristiche della rivista.

RIPRESA NARRATIVA

Anzitutto una chiara inclinazione per un’arte (e specificamente per una narrativa) che faccia largo posto ai problemi dell’uomo, che sia cioè drammatica ed umana. Il che significava una sollecitazione verso una ripresa narrativa, verso l’opera che abbia una sua estensione, un certo respiro ben più consistente delle preziose ma striminzite esercitazioni calligrafiche dei rondisti. Da questo punto di vista è significativa l’attenzione dedicata da Solaria a Tozzi e Svevo, l’ospitalità data alle prove narrative di Vittorini, Gadda e parecchi altri. Altrettanto significativo è il fatto che l’esperienza rondesca non sia passata invano: i solariani si sentono di accettarla, non come obiettivo qualificante, ma come rigore, come freno e difesa contro le gratuite licenze.

DIMENSIONE EUROPEA

La citazione di Dostoevskij indica chiaramente la dimensione europea alla quale nei suoi dieci anni di vita “Solaria” non rinunziò mai: in questo è evidente la lezione del “Baretti“. Lamentava G. Ferrero in uno dei tanti articoli che la rivista dedicava a questo tema:

La letteratura italiana ha rinunciato all’Europa, si è cinta, nel suo stesso continente, di un largo silenzio.

G. Ferrero

Da ciò l’attenzione alla poesia francese, all’opera di Proust e – particolare interessante – ad un certo filone ebraico della cultura europea (l’attenzione per Franz Kafka ad esempio e la valorizzazione di Saba e di Svevo). Atteggiamento questo che attirò su “Solaria” le vessatorie diffidenze del fascismo fiorentino. Significative questa testimonianza di Vittorini a tal proposito:

Divenni collaboratore di una piccola rivista fiorentina… Fui così un solariano, e solariano era la parola che negli ambienti letterari di allora significava antifascista, europeista, universalista, antitradizionalista… Giovanni Papini ci ingiuriava da un lato, e Farinacci da un altro. Ci chiamavano anche sporchi giudei per l’ospitalità che si dava a scrittori di religione ebraica e per il bene che si diceva di Kafka e James Joyce. E ci chiamavano sciacalli, ci chiamavano iene.

Vittorini

LA CITTADELLA DELLA LETTERATURA

Se, per quanto si è detto sopra, “Solaria” si richiama al “Baretti”, se ne allontana di tanto invece per un altro aspetto: la sua fisionomia di rivista esclusivamente letteraria, estranea ad ogni altro impegno. Fu cioè la cittadella della letteratura, aperta alle sperimentazioni, pronta ad accogliere ogni ipotesi di superamento delle vecchie strutture ma senza mai varcare i confini della letteratura. Ha detto – a distanza di vent’anni, nel 1957 – Alessandro Bonsanti:

Fu antifascista, verrebbe voglia di dire, perché non fu fascista… Essa fu la rivista le cui tendenze culturali si trovarono sempre in disaccordo con le tendenze ufficiali… e tuttavia rimase una rivista letteraria, estranea ad ogni altro impegno. Si potrebbe dire che costituì la navicella di una resistenza culturale, se quel termine non avesse oggi per noi un significato preciso.

Alessandro Bonsanti

E tuttavia, negli ultimi due anni, l’esigenza di superare l’hortus conclusus della letteratura si fa sentire, e i solariani si dividono. Carocci, l’antico fondatore, pensa a una “rivista di idee”, di discussione, più aperta alla realtà culturale e politica. Nel 1936 fonda con Giacono Noventa la “riforma letteraria” che, come è evidente dal titolo, accentuerà vieppiù, nell’incontro con l’ermetismo, le predilezioni per gli interessi esclusivamente e aristocraticamente letterari.

BILANCIO

L’influenza di Solaria è fondamentale per comprendere tutta quella produzione letteraria che normalmente viene detta degli anni Trenta (tenendo presente però che l’azione della rivista inizia già nel 1926 e cessa nel 1936).

Abbiamo già cercato di indicare i canoni di fondo della rivista, ma se si vuol tentare un bilancio delle realizzazioni, dell’influenza realmente esercitata piuttosto che delle intenzioni, bisogna ammettere che la dimensione europea di “Solaria” e la vocazione per un’arte drammarica e umana si risolvono soprattutto in un fatto stilistico, in una squisitezza letteraria che non hanno certo quelle implicazioni di “restaurazione” che erano tipiche de “La Ronda“, ma costituiscono quasi un diaframma tra lo scrittore e la realtà e fanno della produzione dei solariani una letteratura di punta, volta in gran parte alla ricerca di soluzioni, di atmosfere raffinate, di quella che con felice definizione G.B. Angioletti chiamò “Aura poetica”. E di due cose val la pena tener conto:

  • Il fenomeno dell’ermetismo che nei primi anni Trenta diventa scuola esclusiva e squisita trova proprio a Firenze nel clima e nell’ambiente di “Solaria” prima, di “Letteratura” dopo, il suo terreno più adatto.
  • Proprio nell’umbratile culto solariano della memoria si formano narratori che più tardi sarebbero diventati rappresentativi del cosiddetto neorealismo – Vittorini, Pavese, Cassola, solo per citarne alcuni – e da questo loro giovanile tirocinio bisogna partire per capire in seguito le ambiguità del loro “realismo”.