Aldo Palazzeschi nasce nel 1885 e muore nel 1974. Anche se ha aderito in forma tutta particolare al Futurismo, ne ha accolto e mantenuto a lungo la lezione. Lo ha inoltre depurato da ogni velleitarismo eversivo e volto in una perenne disponibilità all’estro, al gioco degli umori fantastici in una dimensione anti-tradizionalista. La sua produzione letteraria copre un arco di tempo molto ampio: è del 1905 il suo primo volume di versi (I cavalli bianchi); invece risale al 1969 il suo ultimo romanzo, Stefanino.
UN FUTURISMO TUTTO PARTICOLARE
Pur accostandosi a vari movimenti letterari, Palazzeschi ha sempre conservato una sua fisionomia particolare, una notevole indipendenza. La sua prima attività è di poeta molto originale, pur riprendendo temi crepuscolari e futuristi.
La materia crepuscolare, anche se ripresa in alcuni temi tipici, è però privata dei languori e degli abbandoni propri. Sono sintomatici (e citatissimi) di Palazzeschi, versi di questo genere:
Il poeta si diverte / pazzamente / smisuratamente / non lo state a insolentire / lasciatelo divertire / poveretto / queste piccole corbellerie / sono il suo diletto.
Aldo Palazzeschi
Vengono scardinati, sempre con furbesco e ammiccante sorriso, moduli metrici tradizionali e valori codificati. C’è posto dunque per una varietà di soluzioni sperimentalistiche; è il caso delle liriche Pizzicheria e Passeggiata: nella prima è introdotto il dialogato tra pizzicagnolo e cliente, nella seconda (con una tecnica che non può non far pensare a quella del collage che proprio in quegli anni si tentava in pittura) vengono di seguito registrate tutte le parole che il poeta legge – insegne di negozi, indicazioni stradali ecc. – durante una passeggiata.
Ed ecco che con i due esempi citati, Palazzeschi diventa compagno di strada dei futuristi. Non lo interessano né l’esaltazione della macchina, né l’attivismo vitalistico. Discorso diverso per la sollecitazione verso la distruzione delle strutture tradizionali, il ripudio di ogni remora razionale e logico discorsiva. Si tratta, fra l’altro, di un’adesione di pochi anni (nel 1914 Palazzeschi dichiarò ufficialmente su “Lacerba” che non si riteneva più futurista) e sottolineata da prese di posizione personali come il manifesto il controdolore (dicembre 19139), nel quale è apertamente codificata una fondamentale costante della personalità e dell’arte di Palazzeschi, cioè la vocazione al riso, al gioco estroso della fantasia:
Bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange, sviluppando la nostra profondità. L’uomo non può essere considerato seriamente quando ride… Bisogna educare al riso i nostri figli, al riso più smodato, più insolente, al coraggio di ridere rumorosamente…
Aldo Palazzeschi
ALCUNE OPERE DI ALDO PALAZZESCHI
Le gamme che può assumere una disposizione del genere sono le più varie: dalla risata dissacrante all’estrosa bizzarria – non scevra di inquietanti risvolti – dal divertimento funambolesco alla canzonatura, che in fondo non esclude l’affettuosa adesione; atteggiamenti, questi, che in vario modo è possibile trovare nella narrativa che avrà parte prevalente nella produzione di Palazzeschi.
Già nel 1911 col Codice di Perelà – la storia di un etereo, inconsistente uomo di fumo, capitato nel nostro mondo – ne abbiamo una prova notevolissima. Siamo, con quest’opera, nella dimensione fiabesca: che non resta però puro divertimento fantastico, in quanto c’è largo posto in essa per l’irrisione dei valori codificati della nostra società. Questi, visti in controluce attraverso la condotta anticonformista di Perelà, denunciano tutta la loro precarietà e l’assoluta mancanza di credibilità. Quest’opera si segnala inoltre perché scardina i moduli narrativi tradizionali e consta di agili capitoletti, molti dei quali sono costituiti da un susseguirsi di velocissimi dialoghi, di rapide battute.
Diverso è il tono che domina invece sia nelle Stampe dell’Ottocento (1932) che ne Le sorelle Materassi (1934): il primo è una raccolta di novelle e bozzetti centrati sul mondo provinciale; il secondo è un romanzo che mette a confronto la tranquilla e laboriosa vita delle due anziane sorelle Materassi, ricamatrici di bianco, con quella “moderna” del loro nipote Remo, che con la sua passione per i motori e le avventure brucia rapidamente tutti i loro risparmi. Ma esse continuano ad adorarlo.
In queste opere vanno riconosciute almeno due novità:
- L’adozione di moduli narrativi più tradizionali che si richiamano, per l’attenzione alla rappresentazione degli ambienti e dei personaggi, a certo bozzettismo toscano di fine Ottocento.
- Un ammorbidirsi, un trascolorare della funambolesca bizzarria iniziale (quella del lasciatemi divertire) verso toni di umana malinconia e di arguzia che si fondono assieme con l’affettuosa comprensione e la pietà.
Ma se c’è una qualità da sottolineare nella produzione del Palazzeschi è proprio la coerenza del suo lavoro e il legame che unisce un’opera all’altra; e quindi – anche in queste opere – la rievocazione del mondo ottocentesco o la descrizione dell’umbratile esistenza condotta dalle sorelle Materassi non si impoverisce in toni di sentimentalistica elegia, ma di frequente è percorsa da lampi di riso e la pagina ammette sovente estrose impennate.
Questo amalgama si sorriso e di pietà: di mai smentita vocazione al divertimento e di affettuosa tenerezza è la costante di Palazzeschi, realizzata appieno nelle due opere citate e nelle Novelle, ma con risultati minori nelle ultime opere (fra le altre: I fratelli Cuccoli, 1948; Stefanino, 1969) che alla critica sono apparse mancanti di equilibrio compositivo e forzate da soverchie ambizioni ideologiche e significazioni allusive.