Oggi vi parlerò degli avverbi con una prima lezione introduttiva.
L’avverbio è la parte invariabile del discorso che serve a modificare, precisare o integrare il significato di una frase o di un suo componente.
La categoria dell’avverbio (lat. “adverbium“, che si colloca accanto al verbo) risale alla teoria grammaticale dell’antichità. L’etimologia della parola ne sottolinea la funzione prevalente, quella appunto di determinare il significato del verbo. Il grammatico latino Prisciano (V-VI secolo d.C.) aveva inoltre individuato l’analogia tra la funzione di modificatore del nome, svolta dall’aggettivo, è quella di modificatore del verbo, svolto dall’avverbio; tale analogia appare chiaramente confrontando enunciati come
Ha un amore immenso per gli animali
Ama immensamente gli animali.
In realtà, la definizione dell’avverbio come determinante del verbo è molto limitativa. L’avverbio serve a determinare varie altre unità grammaticali, come:
- Un aggettivo: molto lieto
- Un diverso avverbio: troppo tardi
- Un nome: la quasi totalità
- Un complemento: una persona di grande intelligenza e soprattutto di grande umanità
- Un’intera frase: certamente Mario abita in questa casa (che non è la stessa cosa di: Mario abita certamente in questa casa, dove l’avverbio è collegato in modo diretto al verbo).
Negli ultimi anni gli studiosi hanno cercato di ridefinire tale parte del discorso in cui sono confluite forme di diversa origine e funzione:
- Forme unitarie ereditate dal latino (per esempio sotto da SUBTUS, là da ILLAC);
- Sintagmi preposizionali detti comunemente “locuzioni avverbiali”: per esempio a lungo, di continuo;
- Sintagmi che un tempo erano composti di più elementi, quali si sono in seguito saldati tra loro; per esempio indietro da in dietro dappertutto formato da tre parole da-per-tutto (tale grafia e usata ancora oggi);
- Parole-frasi come ecco!, finalmente!;
- Elementi capaci di indicare il “modo” con cui il parlante giudica il proprio discorso: per esempio forse, indubbiamente, certo. Si parla appunto di modalizzatori;
- Particelle che si pongono prima e dopo il verbo: ci, vi. Con valore locativo, ne;
- Connettivi, vale a dire elementi che attuano la coesione di un testo: per esempio appunto, insomma, allora.
I CONFINI DEGLI AVVERBI
I confini della categoria “avverbio” appaiono dunque piuttosto incerti. Tra l’altro non risultano ben chiare le differenze tra “locuzioni avverbiali” e altri sintagmi preposizionali. Per esempio, il sintagma “in terra” non è ritenuto una locuzione avverbiale, anche se in alcuni contesti equivale all’avverbio “giù“:
Luigi è caduto in terra = è caduto giù.
Talvolta un’intera proposizione può avere la funzione di un avverbio:
Prosegui senza curarsi di nulla = prosegui incurantemente.
Recentemente gli studiosi hanno tentato una classificazione degli avverbi fondata su criteri sintattici. Si è osservato tra l’altro che alcuni avverbi mutano di significato in rapporto alla loro posizione nella frase. Per esempio:
Incredibilmente, Giulio studia.
Giulio studia, incredibilmente.
Nel primo caso si ha la seguente parafrasi: Giulio studia: ciò è una cosa incredibile. Nel secondo caso: Giulio studia moltissimo. Altri avverbi non presentano questa caratteristica; per esempio “affrettatamente” mantiene sempre il suo valore, anche mutando la sua posizione:
Affrettatamente Luigi uscì di casa.
Luigi affrettatamente uscì di casa.
Luigi uscì affettatamente di casa
Infine, Luigi uscì di casa affrettatamente
Si è proposta una divisione degli avverbi in tre gruppi:
- Avverbi che hanno un raggio di influenza più ampio della frase singola; per esempio: dunque, non posso essere d’accordo (qui dunque rinvia il discorso precedente);
- Avverbi che hanno un raggio di influenza su tutta la frase: certamente Simona partirà domani con l’aereo;
- Infine, avverbi che hanno un raggio di influenza solo su una parte della frase: Mario ha parlato chiaramente (qui l’avverbio si riferisce solo al verbo).