La rivista di gran lunga più importante fra tutte – per ampiezza di interessi e temi, per l’influenza che esercitò e per la sua durata – fu “La Voce”. Nella sua storia possiamo individuare varie fasi, rese esplicite da contemporanei cambiamenti redazionali.
LA PRIMA FASE 1908-1912
“La Voce” nasce dalla stessa situazione culturale di “Leonardo” e “Il Regno”, inserendosi anch’essa in un generale movimento delle coscienze. Prende alimento dall’inquietudine psicologica e morale che contraddistingue l’atteggiamento delle classi giovani della borghesia di fronte agli aspetti della vita italiana contemporanea.
Mentre nelle altre riviste questa situazione psicologica dava luogo a vagheggiamenti espansionistici (Il Regno), o disponibilità alle più varie esperienze intellettuali (Leonardo, Hermes), la voce si distingue in questa fase per l’impegno e la serietà morale portata nella critica e serietà degli obiettivi. Così sintetizzava Prezzolini in uno dei primi articoli della rivista:
Trattare tutte le questioni che hanno riflessi nel mondo intellettuale e religioso e artistico; reagire alla retorica degli italiani obbligandoli a veder da vicino la loro realtà sociale, educarci a risolvere le piccole questioni e i piccoli problemi per trovarci più preparati a quelli grandi; migliorare il terreno dove deve vivere e fiorire la vita dello spirito.
Prezzolini in un numero della rivista La Voce
Tale programma si realizza nella prima fase. Uomini come Croce, Amendola, Salvemini, Cecchi, Murri, Einaudi, resero “La Voce” il più vivace organo di cultura di quegli anni. Nascono così inchieste, analisi, numeri unici, su problemi concreti: il ruolo della classe intellettuale nella società italiana, la scuola, la questione meridionale. C’è l’impegno di superare la tradizionale figura del letterato italiano facendo di tutto per tuffarlo nella realtà del giorno, coi tutti i suoi problemi.
L’impegno dei vociani è duplice: per una nuova cultura (e quindi per un rinnovamento profondo sia della figura del letterato, sia del suo prodotto artistico) e per una nuova realtà politico-sociale. Ma le due cose sono concepite in modo unitario, in quanto il nuovo letterato potrà sorgere diverso e produrre pagine diverse da quelle del letterato estetizzante solo se opererà, con un rapporto osmotico, in un diverso contesto civile e politico. La polemica contro D’annunzio – che incarna i tipici vizi che i vociani vogliono superare – e la polemica contro Giolitti si integrano a vicenda.
Tuttavia, in questa prima fase vi furono attriti tra i collaboratori. Ciò si verificò in modo clamoroso a proposito dell’impresa libica. Salvemini aveva condotto una campagna contro le “menzogne dei nazionalisti per conquistare la libia”; Prezzolini, prima ostile, a guerra iniziata aveva cambiato idea. Salvemini abbandona “La Voce”: dietro questo contrasto c’era in realtà una crisi di fondo. I gruppi della voce non erano due ma dieci, venti… occorreva dividersi.
LA SECONDA FASE: 1912-1913
La fisionomia della rivista, in seguito allo scontro, cambia parecchio. Prezzolini, d’accordo con Salvemini, esalta la guerra in Libria che prima aveva aspramente criticato. Celebra la guerra in sé e fissa la linea della rivista:
La voce, aprirà le sue colonne, come finora non aveva fatto, alla creazione artistica dei suoi collaboratori. Essa pubblicherà non soltanto novelle, racconti, versi. Non soltanto disegni originali e riproduzioni di quadri e sculture, ma ogni forma di lirica, dal diario al frammento, dallo schizzo all’impressione… purché ci sia vita.
Prezzolini in un articolo del 1912
Si tratta del ritorno puro e semplice alla letteratura. Essa ha una sua fisionomia particolare e omogenea che si attua in opere di forte tensione lirica e autobiografica. Il debito della cultura italiana verso questa seconda fase è notevole: Mallarmé, Gide, Claudel, Ibsen e altri esponenti delle letterature straniere furono conosciuti attraverso le pagine di questa rivista.
LA TERZA FASE: 1914
Per un anno – il 1914 – “La voce” diventa, nuovamente diretta da Prezzolini, “rivista di idealismo militante”. Si tratta però di un idealismo irrequieto, contaminato dalle posizioni di Croce, Gentile, Bergson e Sorel. Ne vien fuori una serie di atteggiamenti irrazionalisti, una smania di azione che trova subito nell’interventismo l’occasione per palesarsi in tutta la sua virulenza: di lì a poco Prezzolini, abbandonando la rivista, annuncia la nascita de “Il Popolo d’Italia” e la sua collaborazione con Mussolini.
LA FASE FINALE: 1914-1916
La direzione della rivista passa a De Robertis, che ne farà – dalla fine del 1914 al 1916 – un periodico esclusivamente letterario (La voce bianca). Dalle sue pagine apparvero le prime pubblicazioni di autori come Ungaretti, Palazzeschi, Campana, ecc…
Questo avviene perché il nuovo direttore elabora su queste stesse pagine la teorizzazione di una nuova poetica: la poetica del frammento. Giuseppe De Robertis (1888-1963) punta esclusivamente sul fatto artistico, sulla pagina del poeta, e cerca di coglierne le più riposte vibrazioni. Questo metodo critico si risolve quasi in una sorta di misticismo della parola (eliminando i legami tra storia e creazione artistica, fa della parola l’inizio e la fine di ogni problema) e nella concezione della poesia pura. Con questo concetto intende una poesia liberata da eccessi orarori e intellettualistici.
Questa dimensione poetica è realizzabile nel frammento, perfezione formale e vibrazione del sentimento, breve e intensa pagina d’arte. Sulle pagine de “La Voce” viene formulata quella poetica che per qualche decennio si imporrà nella letteratura italiana.
L’operazione realizzata da De Robertis nasceva da un complesso retroterra culturale, del quale elenco di seguito le componenti:
- Le posizioni sulla poesia, elaborate nell’area decadente;
- Le suggestioni del miglior Pascoli, che aveva eliminato dalla poesia la tradizionale intelaiatura, puntando sulla nozione impressionistica e frammentaria;
Per concludere: con la formulazione della poetica del frammento “La Voce” approdava a posizioni perfettamente antitetiche a quelle della sua fase iniziale: l’impegno morale d’un rinnovamento che fosse al contempo letterario e sociale cede il posto a una visione limitata – seppur raffinatissima – della letteratura intesa come attività al di là di ogni preoccupazione o istanza di ordine civile ed etico.