Il dadaismo, come si è visto, si era cacciato in un vicolo cieco: la negazione radicale non permetteva sviluppo alcuno. Il surrealismo, invece, alla negazione totale oppone una decisa volontà di affermazione, dalla distruzione del vecchio intende passare alla creazione del nuovo. Diversamente dal dadaismo, qui si può parlare di una nutrita produzione, di una concretizzazione dei canoni di poetica in opere realizzate.

Tale poetica, implicita in alcuni scritti di André Breton (1896 – 1966) che risalgono al 1916, viene espressamente formulata da lui nel Primo manifesto del surrealismo nel 1924. Segue nel 1930 un Secondo manifesto; pur con polemiche interne e defezioni, il movimento raggiunge il suo periodo di maggiore intensità tra il 1934 e il 1938: segue poi il declino. Entro i suoi confini sono da ricondurre, sia pure con l’elasticità che simili catalogazioni comportano, poeti come Paul Eluard (1895 -1952), Louis Aragon (1897-1982), Robert Desnos (1900-1945), ex dadaista come lo stesso Breton e Tzara, una nutrita schiera di pittori (Salvador Dalì, Max Ernst, Joan Mirò, René Magritte, Yves Tanguy ecc.); registi come Bunuel e uomini di teatro come Artaud e Vitrac.

UN UOMO LIBERO NELLA SOCIETÀ

Ricollegandoci al movimento dadaista per ciò che riguarda lo spasmodico desiderio di abbattimento e di negazione di tutte le forme di costrizione e di condizionamento cui soggiace l’uomo che vive in una società, il surrealismo non si accontenta della negazione, dei quel “niente, niente, niente” che era principio e fine del dadaismo. Si pone dunque il problema di come realizzare questa liberazione dell’uomo. Tale liberazione si può attuare, per i surrealisti, valorizzando quelle componenti della personalità che le strettoie della civiltà e delle istituzioni sociali coartano o addirittura spengono.

Questo significava privilegiare, nella produzione artistica, tutto quel mondo inconscio sul quale Sigmund Freud aveva fatto luce. La dimensione onirica, l’oscuro groviglio di pulsioni e frustrazioni, gli stati allucinatori. Dare voce a tutto questo significava per l’artista surrealista attuare, sul piano soggettivo, la liberazione e favorire, sul piano sociale, la liberazione degli altri. Significava – come proclamava Tzara in un suo manifesto:

Risolvere le condizioni, finora contraddittorie, di sogno e di realtà in una realtà assoluta, in una surrealtà.

Tristan Tzara

Tutto ciò è possibile attraverso il ricorso alle cosiddette “tecniche liberatorie”, che attingono largamente ai metodi psicanalitici. Esse vanno dal sonnambulismo al delirio, all’automatismo “psichico puro”, secondo cui per Breton:

Ci si propone di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto o in altre maniere, il funzionamento reale del pensiero. È il dettato del pensiero con assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica o morale.

Breton

UNA SOCIETÀ PER L’UOMO LIBERO

Ma a questo punto un problema di fondo si pone per i surrealisti: è possibile, nell’attuale società borghese, realizzare tale dimensione di libertà individuale? La libertà individuale non è la conseguenza di un differente assetto della società, cioè di una società che favorisca l’espansione delle valenze dell’uomo anziché coartarle?

L’attenzione dei surrealisti si sposta quindi, di necessità, su questi problemi. Verso la fine degli anni Venti nelle loro teorizzazioni accanto a Freud (che aveva fornito loro gli strumenti per l’analisi e la liberazione dell’Io) si impone sempre più spesso Marx che li fa riflettere sul ruolo determinante e condizionante delle strutture sociali. E così nel Secondo manifesto del 1930 Breton proclama apertamente la necessità della rivoluzione sociale, la rivolta assoluta, l’insubordinazione sociale, il ricorso alla violenza. Breton, Eluard e Aragon avevano già iniziato nel 1927 la loro militanza politica nel partito comunista francese.

LA CONSIDERAZIONE DI ALONGE

Ma a questo punto altri e gravi problemi si pongono: come realizzare un rapporto organico fra poetica surrealista e partito comunista francese? Fra impegno artistico e militanza rivoluzionaria?

I surrealisti hanno compreso che nessuna “rivoluzione dello spirito” è possibile senza la rivoluzione sociale; ma come si inserisce allora il surrealismo nel quadro complessivo rivoluzionario, quale ruolo gioca? […] Breton individua così un nodo teorico di grande attualità anche oggi: può l’intellettuale contribuire alla causa della rivoluzione rimanendo intellettuale, rifiutando di farsi militante politico direttamente impegnato sul piano della prassi, dell’azione?

R. Alonge

Deriva proprio da questo dibattito l’aggrovigliata storia di lotte interne, di scissioni, di sconfessioni ed abiure che caratterizzano l’esistenza del gruppo attorno agli anni Trenta: soprattutto la scissione fra trotzkisti (capeggiati da Breton) e stalinisti (Eluard, Aragon) in conseguenza della differente posizione di fronte all’espulsione di Trotzki nel 1929 dall’Unione Sovietica (i surrealisti furono però abbastanza uniti nella lotta contro il fascismo franchista nel 1936). Queste interne lacerazioni e l’incalzare di drammatici avvenimenti internazionali portano il movimento surrealista ad un progressivo spegnersi alle soglie della II guerra mondiale.

LA PRODUZIONE LETTERARIA

Piuttosto che elencare singole opere o personalità, ci sembra più utile sottolineare che col surrealismo tocca le sue estreme conclusioni una linea di tendenza che abbiamo seguito sin dalla fine dell’Ottocento (a partire da quel Rimbaud che non casualmente Breton annoverava fra i suoi maestri), volta a instaurare un nuovo rapporto fra artista e realtà. La produzione poetica surrealista (ma ciò vale anche per quella figurativa) ha dato l’esempio – la cui influenza va ben oltre i limiti cronologici entro i quali il movimento opera – di come sia possibile attingere una singolare atmosfera (più facile da “sentire”, da intuire che da definire) puntando su un’allucinata sensibilità protesa a scoprire, sotto l’involucro della realtà ovvia e fenomenica, altri rapporti e altre realtà e basandosi sull’abbandono al più libero gioco fantastico, sugli accostamenti più imprevedibili (le famose “immagini surrealistiche”) che tuttavia gettano una luce inquietante sugli oscuri grovigli delle più riposte zone dell’io.

Forse i più duraturi esiti poetici raggiunti dal surrealismo sono da ricercare nella prima produzione (specialmente: Mourir de ne pas mourir, 1924; Capitale de la douleur, 1926) di PAUL ELUARD (1985-1952): si tratta di liriche generalmente d’amore, nelle quali l’intensità delle immagini e le altre tecniche espressive surrealistiche permettono di accogliere e quasi di possedere, con un generoso e fresco empito di comunione con le cose, ogni aspetto della natura: in un continuo gioco che fonde la realtà con l’esaltazione visionaria e il sogno.

SURREALISMO E LETTERATURA ITALIANA

L’influenza del surrealismo sulla letteratura italiana – come quella delle altre avanguardie storiche, ad eccesione del futurismo – è piuttosto limitata ed è riscontrabile (coi limiti che questi accostamenti comportano) nelle rarefatte atmosfere di Bontempelli “realista magico”; in alcuni racconti di Buzzati (quelli raccolti ne La boutique del mistero) o in certe situazioni di Landolfi; in certi giochi o estrosità di Alberto Savinio; nella tecnica dell’analogia propria della poesia ermetica.