Ugo Foscolo è il poeta che meglio ha rappresentato il travaglio e la maturazione di una nuova letteratura fra neoclassicismo e proposta romantica, tesa alla ricerca di un proprio carattere “italiano”
VITA E OPERE
Nasce nell 1778 – primo di quattro fratelli – da Andrea, medico veneziano, e da diamantina Spathis nell’isola greca di Zante. Foscolo mutò il proprio nome in Ugo nel 1795 per simpatia verso Ugo Bassville, un rivoluzionario francese ucciso a Roma.
LA PRIMA GIOVINEZZA
GLI ESORDI LETTERARI A VENEZIA
La famiglia, divisasi dopo la morte del padre (1788), si ricompose a Venezia nel 1793. Qui Foscolo poté completare la sua preparazione scolastica, ricca soprattutto di letture di classici grechi, latini e italiani, e aperta anche all’influenza degli illuministi francesi, in particolare di Rousseau.
Nel 1795 Ugo Foscolo esordì nel salotto letterario della contessa Isabella Teotochi Albrizzi (con la quale ebbe una relazione d’amore). Nel 1797 fu rappresentata la sua tragedia Tieste (1796). Inquisito dal governo veneziano, fuggì a Bologna, pubblicò l’Ode a Bonaparte liberatore e si arruolò nell’esercito napoleonico. Caduto il regime conservatore, rientrò a Venezia dove ebbe l’incarico di segretario della municipalità.
GLI ANNI MILANESI
LA DELUSIONE NEI CONFRONTI DI NAPOLEONE
Nell’ottobre del 1797 con il trattato di Campoformio Napoleone cedette Venezia all’Austria: Foscolo, deluso, si trasferì a Milano in volontario esilio. Qui entrò in contatto con i principali letterati italiani: incontrò Parini, collaborò con M. Gioia alla redazione del “Monitore italiano”, fece amicizia con Monti, della cui bellissima moglie, Teresa Pikler, s’innamorò perdutamente. Nel 1798 iniziò a stampare a Bologna i primi capitoli del romanzo epistolare Ultime lettere di Jacopo Ortis, che l’editore Marsigli pubblicò nel 1799, in un testo tagliato e concluso malamente, contro la volontà dello stesso Foscolo. A causa dell’avanzata dell’esercito austro-russo, tornò a combattere nella Guardia Nazionale; nel 1799 venne ferito a Cento; in seguito partecipò alla difesa di Genova, città ove scrisse l’ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo.
IL SUICIDIO DEL FRATELLO GIOVANNI
La vittoria di Napoleone a Marengo (1800) gli consentì di tornare a Milano. Nel dicembre del 1801 Foscolo fu colpito dal grave dolore per il suicidio del fratello Giovanni. Fino al 1803 visse anni di grandi passioni e d’intensa attività creativa. Amò ardentemente Isabella Roncioni, alla quale dedicò dei Sonetti (1801); a lei si ispirò per tratteggiare la figura di Teresa, protagonista dell’Ortis, alla cui stesura tornò a dedicarsi. Il romanzo, completamente rifatto, fu pubblicato in una prima edizione integrale nel 1802; ne seguirono altre due, entrambe ancora rivedute, nel 1816 a Zurigo e nel 1817 a Londra. Di grande importanza sentimentale fu anche la relazione con Antonietta Fagnani Arese, a cui dedicò l’ode All’amica risanata (1802).
In ambito politico si distinse con l’Orazione a Bonaparte pel Congresso di Lione (1802), coraggioso atto di opposizione alla politica francese nei confronti dell’Italia. Nel 1803 pubblicò l’edizione definitiva delle Poesie di Ugo Foscolo (1803), composte da dodici sonetti e da due odi, e concluse il lavoro filolofico sulla Chioma di Berenice, poema di Callimaco, tradotto da Valerio Catullo e illustrato da Ugo Foscolo, in cui è esposta la concezione della poesia come sintesi del “mirabile e del passionato”.
GLI ANNI DELLA MATURITÀ CREATIVA
IL SOGGIORNO IN FRANCIA
Nel 1804 Foscolo partì per la Francia per partecipare alla progettata e mai avvenuta spedizione di Napoleone contro l’Inghilterra. Trascorse due anni per lo più a Valenciennes; qui dall’inglese Fanny Hamilton ebbe la figlia Mary Floriana, che presto però perse la vita e ritrovò nel 1822 in Inghilterra. Durante questi anni la sua produzione letteraria si limitò a traduzioni dal greco di passi dell’Iliade e dell’inglese del Viaggio sentimentale di L. Sterne.
IL RITORNO IN ITALIA
Nel 1806 tornò in Italia e dopo dieci anni di lontananza si recò prima a Milano e poi a Venezia per rivedere la madre. Fu ospite di Isabella Teotochi Albrizzi e incontrò Pindemonte: dai colloqui con costoro trasse l’ispirazione che poi sviluppò nel carme Dei sepolcri, scritto tra il 1806 e il 1807 e pubblicato a Brescia nel 1807, il cui immediato successo (oltre che l’intervento di Monti) valse al poeta la cattedra di eloquenza presso l’università di Pavia (1808).
Nel gennaio del 1809 vi tenne una prolusione, ricca di accenti patriottici, Dell’origine e dell’ufficio della letteratura, e nei mesi successivi alcune lezioni; ma per ragioni politiche la cattedra venne presto soppressa. I dissapori generati da questa vicenda contribuirono a isolare Foscolo negli ambienti culturali vicini al regime, fino alla clamorosa rottura con Monti. Amareggiato dall’insuccesso alla Scala della sua tragedia Ajace (1811), interpretata da molti come un attacco a Napoleone, nell’estate del 1812 Foscolo lasciò Milano e si trasferì a Firenze; qui nella villa di Bellosguardo visse più di un anno in un clima sereno, coinvolto in numerose vicende sentimentali (tra cui quelle con Eleonora Nencini e con Quirina Mocenni Magiotti) e accolto nel salotto della contessa d’Albany, vedova di Alfieri. Fu intensa anche la sua produzione letteraria: pubblicò la tragedia Ricciarda (1813) e la traduzione del Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l’Italia accompagnata dalla Notizia intorno a Didimo Chierico (1813), ma soprattutto lavorò alla stesura di consistenti passi del poema Le Grazie.
L’ESILIO IN INGHILTERRA
IL RIFIUTO DI ADERIRE ALLA RESTAURAZIONE AUSTRIACA
Nell’inverno del 1813, dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia, Ugo Foscolo tornò a Milano, dove ben presto fecero ritorno gli Asburgo. Gli austriaci gli offrirono la direzione del periodico che poi sarebbe stato la “Biblioteca Italiana”, aperto ai contributi della cultura italiana. Egli si dimostrò interessato al progetto, ma al momento di prestare giuramento, il 30 marzo 1815, fuggì in Svizzera. Ricercato dalla polizia, fu costretto a nascondersi finché nel settembre del 1816 decise di trasferirsi in Inghilterra.
A Londra fu accolto dagli ambienti intellettuali con grande stima, presto incrinata da tenaci inimicizie, specie con altri esuli italiani. I primi anni del soggiorno inglese furono abbastanza creativi: tornò a lavorare alle Grazie (1822), riprese a tradurre l‘Iliade, impostò il progetto di un testo satirico intitolato Lettere dall’Inghilterra (1816-18), di cui sistemo la parte nota come Gazzettino del bel mondo.
Scrisse anche numerosi saggi: sulla letteratura contemporanea in Italia (1818); sul Petrarca (1823); Discorso sul testo della Divina Commedia (1825). Nel 1824-25 per difendersi dalle critiche stese una Lettera apologetica, in cui esponeva le sue scelte di uomo e intellettuale. Gli ultimi anni del poeta furono difficili e umilianti: oberato di debiti, per operazioni sconsiderate come la costruzione di una villa, venne soccorso con grande generosità dalla figlia che gli mise a disposizione l’intera eredità materna, e dall’amica senese Quirina Mocenni Magiotti.
Non riuscì però a evitare il carcere e l’angoscia di vivere sotto falso nome per sfuggire ai creditori. In miseria e malato d’idropisia, si ritirò nel villaggio di Turnham Green presso Londra, dove morì il 10 settembre 1827. Nel 1871 le sue ceneri furono traslate in Italia e sepolte nella chiesa di Santa Croce a Firenze, la chiesa dei Sepolcri.
L’AUTOBIOGRAFIA IDEALE
FUGACITÀ DEL TEMPO ED ETERNITÀ DELLA MORTE
L’opera di Foscolo nasce su un nucleo di riflessioni relative alla fugacità del tempo e all’eternità della morte.
Da esse traggono origine due filoni tematici strettamente intrecciati tra loro. Il primo è costituito dalla costante tendenza dello scrittore a offrire un autoritratto ideale da trasmettere ai posteri. Ne sono testimonianza diversi sonetti (tra i quali Non son chi fui…, Solcata ho fronte… e con taglio differente Alla sera e In morte del fratello Giovanni, ma soprattutto le due opere in prosa Ultime lettere di Jacopo Ortis e Notizia intorno a Didimo Chierico.
ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS
Nel romanzo epistolare Ultime lettere di Jacopo Ortis, Jacopo, fuggito da Venezia sui Colli Euganei dopo il trattato di Campoformio, vi incontra Teresa, di cui s’innamora perdutamente. Ma essa è fidanzata al ricco Edoardo; così Jacopo se ne va senza meta, meditando sulle sventure dell’Italia sottomessa allo straniero. Quando torna da Teresa, ormai sposata, le vede in volto l’amarezza di una vita prima d’amore; allora, persa ogni speranza, s’uccide.
Sinossi
I riferimenti autobiografici a situazioni e sentimenti dei suoi anni giovanili sono evidenti, sia pure rivissuti e idealizzati con un atteggiamento eroico. Le Ultime lettere sono anche il prodotto, complesso e moderno, della letteratura europea dell’epoca e hanno un illustre riferimento nei Dolori del giovane Werther di Goethe.
NOTIZIA INTORNO A DIDIMO CHIERICO
Nella Notizia intorno a Didimo Chierico, invece, Foscolo si rappresenta sotto l’ironica immagine di Didimo, che ha trovato un equilibrio interiore accettando con saggezza le disillusioni della vita.
LA FUNZIONE DELLA POESIA
LA POESIA UNICO ARGINE CONTRO IL TEMPO
Il secondo filone si fonda sull’esaltazione del ruolo della poesia come unico mezzo per opporsi alla forza distruttiva del tempo. Tramite la poesia, afferma Ugo Foscolo nell’ode All’amica risanata, la bellezza della donna amata sarà ricordata in eterno, come eterna è la fama di Ulisse cantata da Omero.
La poesia ha la funzione di tramandare gli affetti, le memorie, le gloria del passato e la speranza per l’avvenire conservati dei viventi mediante la cura e la venerazione delle tombe.
I “SEPOLCRI”
Questo, infatti, è il nucleo concettuale del carme Dei sepolcri, espresso con efficacia nei versi in cui si dice che le Muse “fan lieti / di lor canto i deserti / e l’armonia / vince di mille secoli il silenzio”.
LA BELLEZZA FONTE DELLA POESIA
Se la fonte della poesia è la bellezza, “ristoro unico ai mali”, il mondo ideale a cui essa appartiene è l’Ellade, simbolo di civiltà e di perfezione. Da essa provengono le arti, che donano all’umanità armonia rasserenante. A questo mondo mitico viene dedicato il complesso capolavoro incompiuto “Le Grazie”, composto dai tre inni (a Venere, a Vesta; a Pallade) attraverso i quali si celebra il cammino dell’umanità dalla condizione ferina alla piena acquisizione della civiltà.
Si tratta di un’opera di sintesi umana e poetica: la sua stessa frammentarietà sottolinea la complessità di un poeta come Foscolo. La dimensione dell’Ellade, poi, non è solo il ricordo di un passato irrecuperabile: in essa si congiungono e si unificano i due filoni ora tratteggiati, poiché la materna terra, culla della poesia, è anche un tratto fondamentale dell’autobiografia idealizzata, che fa coincidere l’isola nativa di Zante con Zacinto, sogno di bellezza.
La poesia foscoliana si alimenta di un profondo classicismo, che a sua volta sa velare di una musicalità sensuale e irresistibile una materia drammatica (e autobiografica) di grande intensità. Il riscatto della classicità, in una tensione “romantica” e “egoistica”, sembra il filo rosso che lega tutti i testi del poeta. Il rapporto che Foscolo intrattiene coi classici (anche nel caso delle traduzioni) è un tentativo quasi ossessivo di recupero fisico della lingua antica, senza alcuna civetteria o superficiale divagazione.
LA FORTUNA DELL’OPERA DI FOSCOLO
La figura di Foscolo ebbe grande rilievo nel Risorgimento italiano, quando nello scrittore si vide un modello di intellettuale disposto a ogni sacrificio per affermare la libertà individuale e la dignità nazionale. Soprattutto il filone laico e democratico, rappresentato da Mazzini e da Carducci, tributò una costante ammirazione al poeta e all’opera Dei sepolcri, intepretata essenzialmente in chiave eroico patriottica.
NEL NOVECENTO
Nel Novecento la critica ha sviluppato studi più approfonditi e attenti a cogliere il significato complessivo della produzione foscoliana. Ne è derivata un’interpretazione ricca di sfaccettature, che collega Ugo Foscolo ad alcuni dei maggiori poeti europei di tendenza ellenizzante e di ispirazione romantica, come il tedesco Holderlin e gli inglesi Shelley e Keats