Realizzata l’Unità d’Italia, la classe dirigenziale si ritrova ad affrontare sei problemi concreti:

  • Il malessere del meridione
  • L’autoritarismo
  • Il trasformismo
  • La sinistra al potere
  • L’opposizione organizzata
  • L’emigrazione

Il malessere del meridione: il mancato coinvolgimento delle masse contadine e l’assenza di una rivoluzione sociale, come già denunciato da Nievo e Abba, spiegano in gran parte il fenomeno del brigantaggio (che avviene circa nel periodo 1860-1875 nella zona centro-meridionale).

Con l’Unità si era visto il passaggio dal governo borbonico a quello sabaudo, senza però un reale cambiamento ai vertici. La proliferazione del brigantaggio si individua in questo immobilismo sociale. I governi risolvono il problema con l’esercito ed esecuzioni di massa. Nasce dunque la “Questione meridionale“, che vede come topic principale l’evidenza di uno scarto produttivo nei confronti del Nord Italia. Oggetto di studi per più di un secolo (a partire dalle Lettere meridionali nel 1875 di Villari o la famosa inchiesta La Sicilia nel 1876 di Franchetti e Sonnino), oggi è divenuta questione nazionale, uno degli argomenti più caldi quando si analizza il tentativo fallito di una vera e propria unità.

L’autoritarismo: il brigantaggio si affronta come una vera e propria guerra dunque, che rafforza l’autoritarismo favorito anche dalla scarsa partecipazione democratica (fino al 1882 vota solo il 2% della popolazione). Al governo, sia destra che sinistra pretendono di poter imporre la libertà dall’alto (quindi si soffocava ogni critica). Si cerca di omogeneizzare alle norme piemontesi le regioni con tradizioni e principi storici: da questo arriva il senso di estraneità meridionale. A ciò, si aggiungono la pesante tassazione come la famosa “tassa sul macinato“, che allontana il popolo dal governo e crea quella che ancora oggi è un’avversità totale allo stato, dura a morire.

Il trasformismo: con l’ascesa della sinistra al potere nel 1876, Depretis fa di questa prassi parlamentare una norma abituale. Manipola i gruppi parlamentari, organizzando maggioranze estremamente deboli che mutano in continuazione; questo rende i vari gruppi molto deboli e, di conseguenza, lo scontro tra maggioranza e opposizione è sempre più debole. Se aggiungiamo la già citata partecipazione scarsa al voto, si ha un governo immutabile con la classe borghese costantemente al potere. Il trasformismo dunque spegne l’entusiasmo parlamentare; infine i cattolici, per via del “Non Expedit promulgato dalle autorità ecclesiastiche nel 1874, non potevano essere eletti né partecipare alle elezioni. Questo era il quadro politico post unità, una vera e propria delusione risorgimentale.

La sinistra al potere: negli ultimi 30 anni dell’ottocento si parla di sinistra al governo, ma in realtà non era molto diversa dai principi che avevano caratterizzato i governi di destra. Nonostante ciò, alla sinistra di devono alcune aperture democratiche:

Come vedete si tratta di timide riforme. Il governo di sinistra alimenta comunque le vocazioni autoritarie, mira a realizzare lo “stato forte” e fa si che il pugno di ferro e le soluzioni “prussiane” adottate da Bismark apparissero come il modello ideale di governo.

Inoltre, nel 1882 prende vita la Triplice Alleanza, che impegna un governo già economicamente fragile a sostenere spese sul fronte militare. La politica interna allo stesso modo risolve qualunque problema o scontro con la forza e con la repressione fisica, come nel 1898 a Milano. il 29 luglio del 1900 l’anarchico Gaetano Bresci uccide a Monza il Re Umberto I per vendicare – dichiara – i morti di Milano.

L’opposizione organizzata: il regicidio di Bresci rientra nella categoria di opposizione anarchica, che in Italia era già in via di superamento. L’opposizione alla soluzione monarchica, in quegli anni, si basava sulle dottrine di Marx. Era un socialismo un po’ confuso, riassunto nelle società operaie di mutuo soccorso fino al 1870. Dopo la comune di Parigi del 1871 subentra un socialismo internazionalista con connotazioni anarchiche grazie a personaggi come Michail Bakunin, in aspra polemica con le dottrine Marxiste.

Gli entusiasmi anarchici si spengono presto sul finire degli anni 70, quando ci si rende conto di quanto serva un partito organizzato, con un programma preciso e realizzabile. Nell’82-85 nasce il partito operaio italiano e nel 1893 a Genova il partito socialista italiano (PSI). Qui inizia la vera e concreta opposizione, che prende piede poi con il quotidiano “Avanti” (1896). L’intento è quello di incanalare il malessere delle classi subalterne verso la classe politica. Questa opposizione trova eco nel mondo letterario grazie ad autori come PascoliGuerrini ed Edmondo De Amicis. Le forze popolari assumono sempre più potere, come testimoniato l’apertura della chiesa che fino a quel momento era rimasta estranea al malessere del popolo (il riferimento va alla alla Rerum Novarum di papa Leone XIII, nel 1891).

L’emigrazione: questo malessere di cui abbiamo parlato lungo tutto questo capitolo, oltre a tumulti e agitazioni, porta anche a una forte emigrazione. famiglie intere abbandonano le aree maggiormente depresse (campagne del Sud, aree del Veneto e zone dell’arco alpino) verso l’America. Dal 1876 al 1918 emigrano circa 14 milioni di italiani.