Novecento di Alessandro Baricco è un monologo scritto in forma teatrale, a mio avviso l’opera più poetica dell’autore Torinese. Segnalo anche il film “il pianista sull’oceano“, ossia la rappresentazione cinematografica dell’opera. Proprio per questo motivo – e anche perché l’ho riletta tantissime volte – voglio riportarvi una collezione delle migliori frasi tratte da questo libricino, tanto piccolo quanto profondo. Per chi non l’avesse letto, prima di cominciare vi riporto la trama, che vi aiuterà anche a comprendere perfettamente le citazioni:
Il Virginian era un piroscafo. Negli anni tra le due guerre faceva la spola tra Europa e America, con il suo carico di miliardari, di emigranti e di gente qualsiasi. Dicono che sul Virginian si esibisse ogni sera un pianista straordinario, dalla tecnica strabiliante, capace di suonare una musica mai sentita prima, meravigliosa; che la sua storia fosse pazzesca, che fosse nato su quella nave e da lì non fosse mai sceso. Dicono che nessuno sapesse il perché.
NOVECENTO di ALESSANDRO BARICCO – CITAZIONI
Primo viaggio, prima burrasca. Sfiga. Neanche avevo ben capito com’era il giro, che mi becca una delle burrasche più micidiali nella storia del Virginian. In piena notte, gli son girati i coglioni e via, ha dato giro al tavolo. L’Oceano. Sembrava che non finisse più.
Alessandro Baricco – Novecento, pag. 26
Laggiù, in sala macchine, quella notte, Novecento e io diventammo amici. Per la pelle. E per sempre. Passammo tutto il tempo a contare quanto poteva fare in dollari tutto quello che avevamo rotto. E più il conto saliva, più ridevamo. E se io ci ripenso, mi sembra che era quella cosa lì, essere felici. O una cosa del genere.
Alessandro Baricco – Novecento, pag. 31
Il mondo, magari, non l’aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: ed erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l’anima.
Alessandro Baricco – Novecento, pag. 33
A me m’ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, cadono giù. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Cos’è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C’ha un anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Mah, è una di quelle cose che è meglio se non ci pensi, altrimenti ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli, un mattino, e non la ami più.
Alessandro Baricco – Novecento, pag. 44-45
Tutta quella città… non se ne vedeva la fine… La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? E il rumore, su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema. Col mio cappello Blu. Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino; Primo gradino, secondo. Non è quel che vidi che mi fermò, ma quel che non vidi. Puoi capirlo, fratello? Quel che non vidi… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne/C’era tutto/ Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu/ Ma se salgo su quella scaletta, e davanti a me /Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi. Allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.
Cristo, ma le vedevi le strade? Anche solo le strade. ce n’erano a migliaia, come fate laggiù voi a sceglierne una. A scegliere una donna, una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla… Io ho imparato così. La Terra, quella è una nave troppo grande per me. Un viaggio troppo lungo. Una donna troppo bella. Un profumo troppo forte. Una musica che non so suonare. Perdonatemi, ma io non scenderò.
Alessandro Baricco – Novecento, pag. 55-56-57
MONOLOGO FINALE
Tutte le donne del mondo le ho incantate suonando una notte intera per una donna, una, la pelle trasparente, le mani senza un gioiello, le gambe sottili, ondeggiava la testa al suono della mia musica, senza un sorriso, senza piegare lo sguardo, mai, una notte intera, quando si alzò non fu lei che uscì dalla mia vita, furono tutte le donne del mondo.
Il padre che non sarò mai l’ho incantato guardando un bambino morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo bellissimo, volevo essere l’ultima cosa che guardava al mondo, quando se ne andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto.
La terra che era la mia terra, da qualche parte nel mondo, l’ho incantata sentendo cantare un uomo che veniva dal nord, e tu lo ascoltavi e vedevi, vedevi la valle, i monti intorno, il fiume che adagio scendeva, la neve d’inverno, i lupi la notte, quando quell’uomo finì cantare finì la mia terra, per sempre, ovunque essa sia.
Gli amici che ho sempre desiderato li ho incantati suonando con te e per te quella sera, nella faccia che avevi, negli occhi, io li ho visti, tutti, miei amici amati, quando te ne sei andato, sono venuti via con te.
Ho detto addio alla meraviglia quando ho visto gli immani Iceberg del mare crollare vinti dal caldo; ai miracoli quando ho visto ridere gli uomini che la guerra aveva fatto a pezzi. Ho detto addio alla musica, alla mia musica, il giorno in cui sono riuscito a suonarla in una sola nota di un istante, e ho detto addio alla gioia, incantandola, quando ti ho visto entrare qui.
Non è pazzia, fratello. Geometria.
Alessandro Baricco – Novecento, pag. 58-59