In questo articolo parleremo dello scrittore avanguardista Italo Svevo, un genio che fu compreso troppo tardi.

La vita

Pseudonimo di Aron Hector Schmitz, Italo Svevo nasce nel 1861 a Trieste (allora parte dell’Impero Austro-ungarico) e muore nel 1928 in provincia di Treviso. Intraprende studi commerciali per volere del padre ma s’interessa fin da giovane alla letteratura italiana e tedesca.

Nel 1880, dopo il fallimento dell’azienda paterna, comincia a lavorare in banca. Contemporaneamente, inizia la collaborazione con “L’indipendente”, giornale socialista. Qui, pubblicherà i suoi primi racconti.


Nel 1892 pubblica il suo primo romanzo “Una vita” accolto con freddezza dal panorama critico e letterario italiano. Stessa sorte per la sua seconda opera, “Senilità“, del 1898. Da questo momento la scrittura diventerà per Svevo una pratica marginale.
Nel 1895 conosce e sposa Livia Veneziani, dalla quale nascerà una bambina. Abbandona il suo lavoro in banca e si fa assumere nella società del suocere. Questo lavoro lo porterà a spostarsi spesso in Inghilterra e, durante un corso di inglese, sarà allievo di James Joyce con il quale intratterrà una stretta amicizia. Sarà proprio l’autore irlandese a far rinascere in Svevo la passione per la scrittura.

Ispirato anche dalla psicanalisi freudiana, pubblica nel 1923 la sua opera maestra “La coscienza di Zeno“, accolto anch’esso con silenzio. Joyce gioca ora un ruolo fondamentale nella corsa alla notorietà di Italo Svevo. Presentando il romanzo ai critici francesi, Valéry Labaud e Benjamin Crociux, permette all’opera di spiccare il volo.
Intanto, in Italia, Eugenio Montale pubblica un suo omaggio ad Italo Svevo.

Senza poter godere a lungo della sua fama, Italo muore a causa di ferite riportate a seguito di un incidente automobilistico.
Una delle sue ultime citazioni sarà “fuori dalla penna non c’è salvezza”.

La coscienza di Zeno

Il periodo in cui Svevo scrisse quest’opera è caratterizzato da una profonda crisi sociale, la “crisi delle certezze”, dovuta alla guerra finita da poco. Questo spinse l’uomo a cercare una via di fuga in mondi fantastici o in ideali di uomo immaginari. Mentre D’Annunzio si rifugia nella teoria del superuomo e Pascoli nel mito del fanciullino, Svevo invece di inseguire miti o inventarsi eroi, decide di parlare e descrivere l’uomo in crisi, obbligando la società a rispecchiarsi e a riflettere.

La coscienza di Zeno è un romanzo avanguardista, il cui protagonista è Zeno Cosini, il quale racconta la storia della propria vita non in maniera lineare, ma seguendo il proprio ordine mentale. Egli invia il memoriale al suo psicoanalista, il Dottor S., che per curarlo dalla sua malattia gli commissiona la stesura di un romanzo della propria vita. Zeno abbandona però il trattamento psicoanalitico e il Dottore pubblica il romanzo per vendetta nei suoi confronti. Questa è la finzione iniziale del racconto presentata nella Prefazione.

La rimozione sistematica degli eventi traumatizzanti della sua vita porta il protagonista alla nevrosi e al quotidiano ritorno del suo rimosso sotto forma di lapsus. Zeno è l’emblema dell’uomo inetto, inadatto alla vita, incapace di trovare un ruolo attivo nella propria esistenza, un uomo che si lascia sopraffare dagli eventi sui quali crede di non avere alcuna possibilità di influenza. Privo di forza di volontà e sprofondato nell’alienazione, il protagonista incarna i valori dell’antitragedia.

All’inizio del romanzo racconta della sua volontà di smettere di fumare. Un atto ch’egli continua a rimandare appigliandosi sempre all’ultima sigaretta. Si narra poi il momento della morte del padre, con il quale il protagonista aveva un rapporto ostile, che culmina nello schiaffo che il genitore gli da in punto di morte e dal quale Zeno non si riprenderà più.

Il protagonista racconta, poi, del suo matrimonio con Augusta, figlia del suo socio commerciale Malfenti, dopo essere stato rifiutato dalle sorelle, Ada e Alberta. Prosegue poi col racconto della storia con la sua amante Carla, una donna bisognosa di denaro e protezione, che Zeno non riesce a lasciare, proprio come l’ultima sigaretta. In seguito, si racconta il suo lavoro nel commercio e la sua rivalità con Guido Speier, suo antagonista che gli ha strappato Ada. Nel capitolo finale “Psicoanalisi”, un anziano Zeno racconta la sua delusione nei confronti della psicoanalisi, spiegando che la sua guarigione è dovuta solo alla sua attività commerciale: sfruttando la prima guerra mondiale diventa uno speculatore commerciale, sostenendo la teoria che l’umanità è destinata all’autodistruzione a causa del cattivo utilizzo degli ordigni militari. Il romanzo si conclude, appunto, con una drammatica profezia di un’esplosione che causerà la scomparsa dell’uomo dalla faccia della Terra.

Il triangolo Italo Svevo, James Joyce, Sigmund Freud

Il rapporto di Svevo con la psicoanalisi fu ambivalente: da un lato egli ne fu affascinato, poiché ne apprezzava l’attenzione riservata ai gesti quotidiani più banali (lapsus, vuoti di memoria), d’altro canto ne fu turbato, perché l’analisi dell’inconscio porta spesso il soggetto a prendere coscienza di verità rimosse e traumatiche.

Per questi motivi Svevo utilizza la psicoanalisi, non come terapia medica, bensì come espediente letterario. L’analisi psicologica diventa protagonista dei suoi romanzi grazie al “flusso di coscienza”, una tecnica che consiste nel narrare le idee del personaggio così come si presentano alla sua mente, raccontando per “associazione di idee”. Emerge qui, non solo l’influenza freudiana ma anche quella di James Joyce, autore dei romanzi “The Dubliners” e “Ulysses”.

Scrisse William James: “l’uomo non pensa in modo ordinato e coerente, ma in un flusso ininterrotto di pensieri disordinati”. Da qui Joyce elabora un nuovo concetto di coscienza umana che definì stream of consciousness, un flusso di coscienza. Viene eliminata la divisione tra passato e presente e le storie non sono raccontate in ordine cronologico. Tipico dei romanzi di Joyce è il ricorso a tecniche come l’epifania, un momento di rivelazione spirituale improvvisa causata da un oggetto o un evento quotidiano banale che viene sperimentato dal protagonista in un momento di crisi rivelandogli la realtà della sua condizione; o, ancora, il monologo interiore, attraverso cui il personaggio esprime i suoi pensieri senza una sequenza logica, senza punteggiatura, senza seguire regole grammaticali così da riflettere il caos della mente umana.    

Svevo prese coscienza, grazie a Freud, anche della complessità della psiche umana. L’uomo è frutto delle esperienze che ha vissuto, dove gioca un ruolo fondamentale la società. Svevo analizza la società attraverso la psiche dei suoi personaggi, criticandone i difetti. Inoltre, egli sostiene che la malattia è la costruzione di certezze e l’impossibilità di analizzare se stessi, atteggiamento caratteristico dell’uomo novecentesco.