Non si può descrivere un ambiente “tanto per”, anzi, dobbiamo dargli il giusto valore. Un saggista del secolo scorso opportunamente annotava:
L’impressione è tanto più piacevole quanto meno faticosa; tanto meno faticosa quanto più spontanea; tanto più spontanea quanto meno dovuta a un impulso riflesso della volontà, ossia, spessissimo, quanto meno cosciente.
Luigi Alberto Villanis, L’immagine poetica, Torino, Paravia, 1896, p.87
Non può emozionare il lettore ciò che gli pare d’aver già letto centinaia di volte.
Meglio quindi eliminare gli usuali riferimenti paesaggistici introdotti con i soliti termini (ad esempio: il vento che soffia impetuoso, le nuvole che corrono nel cielo, le cime degli alberi che ondeggiavano al vento, le foglie che cadono, i prati punteggiati di fiori, gli uccellini che cinguettano, il silenzio che cala sulla campagna, il ghiaccio che scricchiola ecc…) in favore di parole inaspettate, generando così accostamenti vividi, interessanti.
Purtroppo è molto forte la tendenza – in scrittori poco originali – a copiare da altri scrittori, e non direttamente dalla natura, cercando immagini nuove e incisive. Italo Calvino scriveva al riguardo a Marcello Venturi:
Il romanzo non mi va […] soprattutto perché tiri fuori ogni tanto “montagne incendiate dal tramonto”, “aria sfolgorante di luce”, “folto tempio di pini”. Chi t’ha insegnato a scrivere di questa roba?
Italo Calvino, I libri degli altri, Torino, Einaudi, 1991, p.19
Il revisore dovrà pertanto parafrasare tutte le immagini convenzionali, come nell’esempio seguente:
Rosa si tirò a sedere mentre una folata le mandò al diavolo i capelli (anziché il tipico “accarezzò”)
Sveva CASATI MODIGLIANI, Come stelle cadenti, Milano, Sperling & Kupfer, 1985, p.429
I particolari dovrebbero poi essere tutti significativi
Per evitare la solita caduta nel banale e risaputo. Occorre quindi intervenire affinché nel testo esaminato non sia scritto quello che scrivono tutti.
Questo non significa che all’opposto vadano sempre accettate i modi strani per descrivere l’ambiente, cose eccentriche, che sconfinano nella bizzarria:
Intorno, il pelo serico dei campi aggredisce gli occhi, è il sole che picchia a farlo brillare, a far sudare la terra come un dorso di animale schiantato.
Lorenza Ghinelli, La colpa, Roma, Newton Compton, 2012, p.15
Da evitare la pedante elencazione di dettagli, che guastano la descrizione irrimediabilmente, rendendola fastidiosa, fredda e finta agli occhi di chi legge. Il voler tutto precisare e tutto giustificare è sempre un modo di procedere sbagliato: lo scrittore che eccede nel dettagliare, finisce infatti per fornire più degli inventari che delle descrizioni.
Da cassare a tutti i costi è “l’umanizzazione” della natura (per cui le forze naturali assumono intenzioni umane), alla barocca ricerca di un modo diverso di descrivere:
Il mare respirava tranquillo, increspato leggermente, mentre la luna, vanitosa ci si specchiava lanciando raggi argentei lungo la superficie. Le stelle curiose guardavano quella bella ragazza dal naso arrossato per la fresca brezza che le pettinava indietro i capelli.
Valentina DE SANCTIS, Io di più, di più, di più, Milano, No Replay, 2008, p. 230
Infine, di notevole importanza ai fini descrittivi sono le similitudini, i paragoni. Ci sono però similitudini scontate, modi di dire che ritornano troppo spesso, e che pertanto andrebbero evitate. Dino Provenzal scriveva:
Escludo le immagini che non hanno almeno un minimo di stile, di personalità. Per esempio, se trovo “Egli fuggì rapido come una lepre, si fece rosso come un gambero, diventò bianco come un panno lavato” io non trascrivo. Queste espressioni sono comuni, si trovano in tutti i vocabolari.
Concludiamo dunque con un paio di esempi che riportano similitudini azzeccate per descrivere un ambiente:
Sorridevi alla mia immagine nello specchio e i miei denti scintillavano, piccoli e allineati, come tasti di un pianoforte.
Il rombo del motore si avvicinava minaccioso, come un calabrone.